La mano di Caino continua a vibrare contro il fratello e, per quanto sia deplorevole dal punto di vista religioso, sociale e morale, uccidere sembra essere qualcosa di naturale di cui l’uomo non riesce a fare a meno; come fanno gli animali in natura per il cibo, il territorio e la riproduzione.
Tutto sommato l’essere umano non è dissociato dall’istinto primordiale di sopravvivenza. Sulla base di tale istinto, rafforzato da sensazioni esclusive del nostro intelletto, gli uomini e le donne ammazzano o vorrebbero farlo per chiudere definitivamente conti in sospeso. Escludendo le stragi di guerra, criminalità e incidenti per ragioni colpose (secondo i dati del Ministero degli interni), restano a bilancio dell’anno appena trascorso centoventisei omicidi di cui sessantuno commessi in ambito familiare, a riprova che l’istinto omicida di Caino non si è ancora smaltito del tutto.
Ed è proprio in seno alla famiglia, tra le mura di casa, e spesso dopo una storia d’amore che si consumano i delitti più efferati. Il culmine dell’esasperazione, l’incapacità di controllare la rabbia e una malsana, per non dire patologica, gelosia, avulsa dalle sensazioni d’amore, armano il braccio dell’assassino. In quest’ambito, negli omicidi del partner, del coniuge o dell’ex si alzano le voci della società civile a condanna di pratiche a dir poco demoniache ad esclusivo maleficio della nostra specie. Infatti, in natura è solo l’essere umano ad uccidere il proprio o la propria compagna per gelosia o per liberarsi di una quotidianità in cui si sente ingabbiato e che non riesce più a gestire, offrendo alle cronache storie di morti violente di cui si è reso protagonista. Nei femminicidi perdono la vita madri, mogli, ragazze o anziane signore indifese. Nadia Debora Bergamini è stata esattamente una di queste vittime indifese, una settantenne finita a randellate da sconosciuti tra le mura domestiche. Nadia si è fregiata del triste titolo della prima donna ammazzata nel 2022 a cui seguiranno (secondo le fonti di Fmminicidioitalia.info) ben cinquantanove uccisioni, fino a Maria Amatuzzo morta a Castelvetrano in provincia di Trapani la Vigilia di Natale per mano del marito.
Stando alla ferma condanna senza appello per chi falcia brutalmente la vita di una donna, restano –per l’anno appena trascorso– sessantasette morti dell’altro sesso di cui poco se ne parla. Se la società da una parte è alle prese con le barbarie di mariti, fidanzati e compagni che brutalizzano le donne; dall’altra, è poco attenta ai numeri che raccontano dei maschi che muoiono per mano del gentil sesso. È l’altra sponda di un fiume di sangue che mal sopporta il termine “maschicidio” in contrapposizione dell’abominevole idea di “femminicidio”.
Eppure, anche le donne impugnano le armi contro i propri congiunti, ma l’omicidio commesso da una donna ha spesso motivazioni diverse dai futili motivi addotti dagli uomini. Secondo una statistica di Aipgitalia.org, le donne uccidono per esasperazione, per liberare sé stesse e i propri figli dalle vessazioni del maschio o magari lo fanno per profitto e, in percentuale minore, per brama di danaro o per gelosia.
Indipendentemente da quali siano i motivi: vessazioni, come per il delitto di Ciro Palmieri commesso dalla moglie a e dai figli che lo hanno stroncato con quaranta coltellate nel comune di Giffoni Vallepiana in provincia di Salerno ad agosto di quest’anno; o per gelosia, come ha fatto Edlaine Ferreira, che a Bussolengo ha finito a martellate il marito Francesco Vetrioli ossessionata da un presunto tradimento.
Casi ugualmente esecrabili e condannabili, ma di cui poco si parla e che spesso si tende, con stoltezza, ad accogliere con soddisfazione come fosse la magra rivincita della vittima nei confronti del suo carnefice. Sebbene le ragioni, l’efferatezza e i risvolti culturali incapsulati nella parola femminicidio siano soverchianti e imparagonabili rispetto al meno usato “maschicidio”, la morte di uomo o donna è sempre un tragico evento; sebbene sia giusto sottolineare che il femminicidio è spesso un delitto fomentato da usi e costumi arcaici, dall’idea insopportabile di un machismo imperante o dal perseguire i principi di legami indissolubili imposti dai dogmi religiosi. Non altro che benzina sul fuoco.
Un fuoco che può essere domato picconando senza sosta sulle differenze di genere, facendo divulgazione attraverso i social media, le scuole, le associazioni, oltre al concreto contributo delle istituzioni e delle chiese per rinnovare il concetto di famiglia, di legame e di amore, affinché togliere una vita non sia solo un delitto o un peccato, ma sia soprattutto una vergogna.
di Mario Volpe
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