La telefonata arrivò dopo qualche giorno… inaspettata. Sobbalzai allo squillo del telefono, quasi piansi a vedere il suo nome comparire sul display. Risposi, ma solo dopo il terzo squillo.
“Pronto”
“Chiara, ciao sono Claudio. Ti va di vederci?”
Non avrei mai potuto dirgli di no. Avevo atteso troppo a lungo e non mi pareva vero. Mi aveva chiesto di vederlo. Vuole vedere proprio me. Allora gli sono piaciuta. No, non è innamorato ma gli piaccio. Decisamente gli piaccio. Come sarebbe stato. Cosa avremmo fatto. Oddio cosa metto. Pensai tutte queste cose in un batti baleno.
“Passo a prenderti alle 20.00. Carina mi raccomando. Si va ad una festa.”
Neanche il tempo di rispondergli quel semplice “si, va bene” farfugliante. Fu subito panico. Avevo soltanto due ore. Non avrei fatto in tempo ad andare dal parrucchiere ne a comprare qualcosa di carino per l’occasione. “Cosa indosso… questo lo ha già visto… mi ha detto di essere carina… mio Dio… dovrei essere femminile e poterlo sedurre, il tubino nero… ma no è scontato… chiamo Rebecca e guai se non si precipita a darmi una mano!?"
“Rebecca ho bisogno assolutamente di te… tra due ore passa a prendermi Claudio. Mi porta ad una festa. Devi aiutarmi. Non so cosa indossare."
“Arrivo!” – Rebecca.
L’amica senza neppure pensare si precipita a casa mia… portando con sé un delizioso tubino di Dolce e Gabbana… nero a fiori rossi… uno stile tutto siciliano. Davvero molto femminile.
“Sei la mia salvezza” – le dissi appena la feci entrare.
Guardai cosa avesse portato, l’abbracciai.
Mi aiutò ad indossare il tubino. Non fece molte domande ma era felice per quella mia uscita.
Il suo tubino mi stava d’incanto… tacco nero a spillo ed un morbido coprispalle nero nel caso avesse fatto freschetto o fossimo stati all’aperto.
Mi aiutò persino a truccarmi… in maniera leggera. Solo un po’ di mascara e del lucido rosso sulle labbra. Legai i capelli in un pratico chignon e fui pronta in tempo.
Appena le sette e trenta. Mancavano trenta minuti. Ero piena di ansia. Rebecca mi teneva le mani e mi diceva di rilassarmi. Di pensare ad altro. Che ero uno schianto e non dovevo preoccuparmi di nulla. Le chiesi di aspettare finchè non fosse arrivato lui. Ma di non farsi vedere altrimenti saremmo sembrate due bambine. Lei rise e pazientemente attese. Cercammo di distrarci parlando di altro. All’improvviso il citofono. Era arrivato Claudio.
Risposi. Abbracciai e baciai Rebecca precipitandomi di corsa da Claudio.
Mi tremavano le gambe. Mi sentivo come al primo appuntamento. Aprii il portone e lui era lì. Appoggiato all’auto, una porsche di colore nero, una gamba accavallata, pantaloni beige e camicia bianca. Mi guardò, sorrise, lanciò la sigaretta e spostandosi aprì lo sportello per farmi salire. Era per me come se non lo avessi mai visto prima. Mi avvicinai lo guardai dritta negli occhi splendenti, gli sorrisi e chinai il capo per salire in auto. Chiuse il mio sportello e salì. Si voltò verso di me e baciò le mie guance. Credo di essere diventata color rosso fuoco. Continuavo a sorridergli. “Come stai” gli chiesi. “molto bene ora che ti vedo” rispose. “Sei pronta? Si parte” aggiunse.
Diede gas a quel bolide… allacciai le cinture. Non ero mai stata in un auto di quel tipo prima d’ora e, a dire il vero, quella velocità mi faceva venire i brividi. Ma ero troppo imbarazzata per dirlo. Cercai di distrarmi ascoltando la musica. Aveva messo jack jhonson… il mio cantante preferito.
“Bella questa musica” esclamai
.“Ti piace?” rispose “io adoro questo cantante”.
“Anch’io” dissi con infantile entusiasmo.
Dannazione Chiara contieniti non sei una bambina. Sii donna.
Cominciò ad elencarmi tutte le musiche di jhonson ed io annuivo col capo.
“Aspetta, ascolta questa” disse.
Accidenti avrei urlato era la mia canzone preferita “If i had eyes”… ma mi limitai a dire bella mi piace molto.
Nel mio cuore in maniera molto infantile ero orgogliosa di quel momento. Si. Ero orgogliosa di amare la sua stessa musica. Mi sembrava una favola. Gli stessi interessi e gli stessi gusti. Per un paio di canzoni. Non lo davo a vedere, almeno spero, ma non ero nei panni per quel momento così magico.
“Andiamo a casa di alcuni miei amici” - disse improvvisamente cambiando discorso – “Danno una piccola festicciola privata, per pochi intimi ed avevo piacere che tu mi accompagnassi” – aggiunse.
Annuii con la testa senza aggiungere altro. Anche allora non mi sembrò vero volesse portare proprio me. Da amici per una festa intima. Mi dovette sembrare una proposta di matrimonio. Era vero? Ormai ero al settimo cielo.
“Dov’è la festa?” chiesi timidamente.
“In una villa a Fregene”- rispose – “E’ lontano? Dovevo avvertirti? Mi sembrava una buona idea.”
“Ma no! Figurati. La mia era curiosità. Con quest’auto poi ci si arriva in venti minuti.” – risposi sorridendo.
A quel punto mi guardò con un dolce sorriso e poggiò la sua mano su una delle mie gambe facendomi accapponare la pelle. Mi salì un brivido dietro la schiena. Sentivo la sua pelle sulla mia pelle. Era una sensazione speciale. Quanto era liscia e quelle dita grandi ed affusolate. Le unghie ben curate. Aveva una mano bellissima. La guardai d’istinto. “Ti spiace?” – lui chiese.
Dissi di no col solo cenno del capo per l’imbarazzo. D’istinto poggiai la mia mano sulla sua.
Ero talmente impacciata. O almeno così mi sentivo. Lo conoscevo da sempre ma non lo conoscevo affatto. O meglio lo conoscevo da qualche giorno ma lo sentivo dentro come se lo avessi conosciuto da sempre. Eppure la mia conversazione non era così spigliata. Ci fu del silenzio. Mentre Claudio guidava, il mio sguardo penetrava a fatica il buio immobile, sfiorava cortili di sassi e case di stucco. La città sfilava veloce, più ci avvicinavamo alla periferia meno case si vedevano. Sembrava che il mondo intero trattenesse il fiato mentre rallentammo a uno stop. Poi lui chiese: “Hai lavorato oggi?”“No sono ancora in ferie” risposi.
“Quando farai ritorno su a Milano” – aggiunse.
“Ancora non so ma credo presto” – dissi.
Non aggiunsi altro o feci domande. Sarei sembrata invadente. Perché mi chiese del mio ritorno a Milano?… per curiosità o perché avrebbe inciso sul nostro rapporto? Probabilmente per nessuno dei due motivi. Ma soltanto perché era una domanda che ci stava tutta. Ma che fine avremmo fatto noi una volta a Milano? Quello si che avrei voluto chiederglielo.
“Tu hai lavorato” – chiesi io a quel punto e per evitare altro silenzio.
“Si. Ho lavorato… ho dovuto vedere dei clienti con i quali ho delle cause al quanto serie. Un po’ di impicci ma nulla di grave piccola.
”Dolcissimo quel suo modo di chiamarmi piccola… era un talentuoso avvocato. Un tributarista. Suo padre era un tributarista. Aveva uno studio che contava circa 70 avvocati. Lì a piazza di Spagna. Immagino quanto da fare ci sia in uno studio di quel genere. Per questo Claudio spesso partiva ed era in giro per il mondo. Per questo, ma non solo per questo. Spesso anche per piacere. Amava il surf e non appena poteva girava il mondo alla ricerca delle grandi onde da cavalcare
.Ma in quel dato momento era lì con me ed io ero la sua piccola sempre più piccola.
“Ti piace il tuo lavoro” chiesi timidamente. In realtà avrei chiesto di tutto. Ma nulla di ciò che chiedevo. Avrei chiesto di lui di me di noi della sua ex insomma le domande che avrei voluto fare riguardavano ben altro ma non potevo e quindi decisi di mostrarmi interessata a lui ed al più e al meno…“Certo mi piace molto” rispose e cominciò a spiegare tutto quello che comportava il suo lavoro. Fu interessante sentirlo parlare di sé e della sua professione. Aveva un modo bellissimo di interloquire. Delle espressioni magnifiche. Occhi profondi e fascinosi. Labbra carnose e rosso fuoco.
Dovetti incantarmi a sentirlo parlare.
Arrivammo a destinazione.
“Eccoci. Ci siamo.” Esclamò.
Mi guardai intorno dal finestrino dell’auto. Vedevo solo pini giganti ed un grande buio.
Scese dall’auto. Mi aprì lo sportello e porse una mano per farmi scendere.“
Madame” – aggiunse.
Scesi dall’auto. Faceva freschetto. Indossai da subito il mio coprispalle.
“Sei stupenda” - mi disse prendendomi sotto braccio – “non imbarazzarti sono persone semplici.” – aggiunse.
Oh cavolo aveva capita che davo di rosso facilmente… sorrisi e chinai il capo come mio solito.
Entrammo in una grande villa con un lungo viale costellato di pini. C’era molto verde intorno… tutto sembrava fuorchè una situazione semplice… era tutto sontuoso.
Arrivammo all’entrata. La porta era chiusa. Suonammo il campanello. Ad aprirci una elegante signora bionda alta e ben vestita.
“Claudio che piacere averti qui” –disse – “e chi è questa dolce signora che ti accompagna?” chiese simpaticamente.ù“Giorgia, bella come sempre” – rispose Claudio – “lei è Chiara” aggiunse.
“Piacere Giorgia, attenta a questo furfante” mi disse scherzando e stringendomi la mano.
Ma quella frase stupidamente mi turbò. In realtà sapevo che Claudio da quando aveva concluso la sua convivenza non era solito accompagnarsi a donne e quindi, quella frase, mi suonò come minacciosa. Insomma non saprei se considerare il fatto positivo per me o meno. Nel senso che poteva essere buon segno il fatto che lui avesse scelto di accompagnarsi a me per la serata. Ma avrebbe anche potuto non significare nulla.
La casa era magnifica. Dall’entrata si passava direttamente in salotto. Tutto era bianco. Pieno di quadri e di specchi. Non mancavano enormi vasi di fiori. I divani erano davanti ad una enorme vetrata che dava in piscina. Anche quelli bianchi e pieni di cuscini colorati. Ricordo di aver calpestato un tappeto zebrato davvero enorme.
Nel frattempo fummo ben accolti da tutti. Mi presentò una serie di persone e personaggi.
Tutti sembravano interessati a sapere io chi fossi. Tutti mi facevano domande con discrezione e simpatia. Qualcuno mi offrì da bere. Fu una serata deliziosa. Claudio non mi lasciò un attimo sola. E, devo dire, non mi tolse gli occhi di dosso. Fu orgoglioso di avermi accanto. Mi presentava ai suoi amici facendomi sentire la sua compagna. Fui a mio agio per tutto il tempo.
C’erano ben quattro filippini che servivano la cena. Vestiti in maniera impeccabile. Cortesi e sorridenti. La cena era in piedi. Per fortuna. Come antipasto bruschette con alici e fiori di zucca ripieni… non mangiai nulla. Ero troppo nervosa. A seguire risotto alla pescatora e tartarre di tonno. Semplice e squisita. Per finire dessert di piccola pasticceria. Tutto molto sobrio e squisito. Claudio mi servì la tartarre ed il risotto. Voleva che io mangiassi. Glielo lessi negli occhi. Ed io se pur imbarazzata accettai le portate e mangiai.
“Ti piace?” mi chiese al risotto.
“Davvero buono” risposi continuando a mangiare.
Un po’ mi preoccupai di esplodere in quel vestito. Ma proprio non potevo non mangiare.
La cena mi piacque molto. Tutta la serata mi piacque. E la gente pure. Speravo di rivederla. Mi immaginavo compagna di Claudio ed amica di tutti quelli che erano lì. Mi chiedevo se lo standard dei loro momenti fosse quello o se vivevano anche in situazioni più semplici e rilassate. Ma in fondo mi importava poco. Quello che contava era per me entrare nel mondo di Claudio qualunque fosse stato. Al resto mi sarei abituata presto. Che fossi già innamorata? Non lo so. So di certo che mi piaceva molto e che avrei dato ogni cosa perché quel momento non finisse mai.
Eppure l’ora di rientrare a casa arrivò… salutammo tutti e tutti mi salutarono affettuosamente. Qualcuno aggiunse “alla prossima. Spero che tu ci sia”. Ripercorremmo il viale alberato fino a giungere all’auto. Claudio mi tenne per mano tutto il tempo. Poi aprì lo sportello e mi fece cenno di entrare. Una volta in auto mi guardò accennando un tenero sorriso e poggiò le sue labbra sulle mie.
“Sei stata bene?”- chiese.
“Molto.” Risposi mentre caldi brividi attraversavano il mio corpo.
Mise in moto e partimmo mentre teneva la sua mano nella mia. Non parlò molto durante il viaggio. Ma mi guardava e sorrideva. Si. Spesso si girava verso di me guardandomi e sorridendo. Provavo imbarazzo, credo arrossissi. Avrei voluto chiedergli “perché mi guardi? A cosa pensi? Sono buffa?” invece non chiesi nulla. Rispondevo a quegli sguardi con dei sorrisi compiacenti e nulla più.
Arrivammo a destinazione. Aspettammo qualche minuto prima di scendere. Claudio si voltò verso di me e prese ad accarezzarmi i capelli. Poi il viso. Mi baciò appassionatamente. “Mi hai fatto stare bene” – aggiunse.
Io sorrisi ma non aggiunsi altro volevo che quei baci non terminassero. E cos’ fu. Lui continuò a baciarmi all’infinito. Poi mi disse “E’ tardi. Devi andare”. Fu in quel momento che ricordai di non aver detto a casa che sarei andata ad una festa. Mi prese il panico ma non diedi a vederlo. Sperai di non trovare nessuno in piedi ad aspettarmi. Mi precipitai fuori dell’auto. Un ultimo incandescente bacio e lo salutai. “A domani” disse.
Feci le scale di corsa… aprii la porta cercando di fare il minor rumore possibile. Entrai e notai la luce accesa in cucina. Mi avvicinai… era mia madre.
“Ciao piccola dove sei stata?” – chiese
“Ad una festicciola di amici” risposi.
“Come sei bella tutta in tiro. Qualche conoscenza particolare?” disse.
Perché è come se sapesse sempre tutto accidenti?! Diventai rossa ma non avrei sputato il rospo per niente al mondo. Non era quello il momento.
“Nulla di che” – aggiunsi – “i soliti”.
“C’erano anche Carlotta e Rebecca?” chiese ancora.
Ed io volevo che quella discussione finisse. Non ero abituata a raccontar frottole ma mia madre continuava il suo terzo grado.
“Si c’era Rebecca…” dissi con voce lieve. Avrei dovuto ricordare di avvertire Rebecca di quella innocente bugia.
“Ora vado mami… sto morendo dal sonno” le diedi un bacio sulla fronte e così mi dileguai.
Quella notte non feci altro che pensare alla serata trascorsa con Claudio. Al suo sguardo ed al suo sorriso. Al suo modo di fumare. Al suo fare serio ed alle sue grasse risate. Mio Dio quanto sarebbe bello se tutto fosse non solo in quell’istante. Se potesse durare per sempre. Mi agitavo nel letto e ci immaginavo insieme. Avrei avuto voglia di stringerlo lì accanto a me. Avrei avuto voglia di essere sua. Tanta ansia mista ad eccitazione mi attraversava l’anima. Chissà come sarebbe stata la prossima volta. Chissà quando avremmo fatto l’amore. Chissà quanto sarebbe andata avanti. E pensando a tutte queste cose sprofondai in un profondo sonno.
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