Sussurri di pietra: l’eterna memoria di Pomigliano d’Arco nel nuovo libro di Vera Dugo Iasevoli
In un mondo che corre affannosamente verso l’oblio, dove il tempo divora le tracce dell’esistenza umana come un fiume in piena, Vera Dugo Iasevoli emerge come una guardiana della memoria collettiva. In questo libro, la professoressa non solo documenta fatti, ma infonde un’anima esistenzialista: il cimitero è “un silenzio che parla”, un “dormitorio” in attesa dell’alba eterna, un monito contro l’oblio. Valorizzando Pomigliano d’Arco – terra di patrioti, fede e resilienza – e i suoi avi, l’autrice ci invita a camminare tra le lapidi non come visitatori, ma come eredi di un’eredità immortale. Un’opera avvincente, essenziale per chi cerca radici nel flusso dell’esistenza: sì, si può fare, e si deve leggere.

In un mondo che corre affannosamente verso l’oblio, dove il tempo divora le tracce dell’esistenza umana come un fiume in piena, Vera Dugo Iasevoli emerge come una guardiana della memoria collettiva.
Professoressa di storia dell’arte e profonda conoscitrice della storia di Pomigliano d’Arco, come attestano le sue opere precedenti – da Uomini illustri, figure di spicco, nobili e feudatari nella storia di Pomigliano a La chiesa di S. Maria del Carmine in Pomigliano d’Arco e Le strade di Pomigliano d’Arco – l’autrice ci regala con Breve storia delle sepolture e del Cimitero Storico di Pomigliano d’Arco un’opera che non è mero resoconto storico, ma un ponte esistenziale tra il vivente e l’eterno.
Pubblicato di recente con il patrocinio morale del Comune, questo volume di 200 pagine, arricchito dalle fotografie di Antonello Iasevoli, è un atto di pietas verso gli avi, un invito a riflettere sulla finitezza della vita e sulla perenne eco dei defunti nei silenzi dei luoghi sacri.
Dedicato ai “miei adorati Genitori e a tutti i nostri cari che si sono addormentati nel riposo eterno”, il libro trasuda un’intimità familiare che si allarga all’intera comunità, ricordandoci che ogni tomba è un frammento di esistenza condivisa, un sussurro contro l’annientamento.

L’opera si apre con un viaggio nelle origini delle sepolture, dalle antiche necropoli alle catacombe cristiane, passando per i “campi santi” medievali e le disposizioni napoleoniche che imposero i cimiteri moderni.
Come sottolinea l’autrice, il termine “cimitero” deriva dal greco koimētérion, “luogo del sonno”, evocando non la fine, ma un’attesa di risveglio – un tema esistenzialista che permea l’intero testo, riecheggiando Kierkegaard o Heidegger nel confronto con la morte come orizzonte dell’essere.
A Pomigliano d’Arco, le prime sepolture avvenivano in chiese, cripte o campi aperti, come il “Campo di Sangue” presso San Felice in Pincis, dove i corpi dei poveri si dissolvevano nella terra, simbolo di un’uguaglianza postuma che sfida le gerarchie terrene.
Qui, l’autrice cita figure illustri sepolte prima della fondazione del cimitero, come don Pasquale Toscano (morto nel 1831, lapide tradotta: “A Dio onnipotente l’illustrissimo signore Pasquale Toscano… uomo insigne che diede prova brillante di ogni tipo di virtù”), o Caterina De Falco (1837), moglie di Matteo Imbriani, la cui lapide evoca un’esistenza di “purezza di costumi, parsimonia, operosità”, un inno alla virtù domestica che resiste al tempo.
Il cuore del libro batte nel Capitolo III, dedicato alla fondazione del Cimitero Storico. Nato nel 1838 su un terreno donato da Agata Terracciano nel 1837, in risposta all’epidemia di colera e alle norme borboniche, questo “dormitorio eterno” – come lo definisce la presentazione del sindaco
Raffaele Russo – rappresenta l’evoluzione da caos sepolcrale a ordine razionale.
La struttura iniziale, un trapezio isoscele di circa 1.458 m², con recinzione muraria e ingresso principale, custodisce la Chiesa di Santa Maria della Pietà, un’oasi di consolazione nel silenzio.
Qui, l’autrice scava nei simboli: croci per la redenzione, angeli del dolore per la sofferenza, clessidre per il tempo che fugge – metafore esistenziali che invitano a contemplare la vanità del mondo.
Tra le cappelle, spicca quella Imbriani Poerio, eretta nel 1876 e dichiarata Monumento Nazionale nel 1930. Vi riposano patrioti del Risorgimento come Paolo Emilio Imbriani (1808-1877), i figli Vittorio (sindaco di Pomigliano, 1840-1886), Matteo Renato (1843-1901, con la celebre statua dell’“Angelo del dolore”) e Giorgio Pio (1848-1871, morto a Digione con Garibaldi).
Carlo Poerio (1803-1867), cognato di Paolo Emilio, vi è sepolto, legando Pomigliano alla grande storia italiana. L’autrice cita l’epigrafe sull’ipogeo: “Unità Libertà Indipendenza”, un motto che riecheggia l’aspirazione all’eterno attraverso l’ideale patriottico.
Non solo illustri del passato: il libro menziona anche sepolture recenti, come quella del parroco Antonio Ricci (o famiglie nobili come i Cutinelli, i cui epigrafi lamentano morti premature, ricordandoci che il dolore unisce avi e posteri in un continuum esistenziale.
Il Capitolo IV esplora gli ampliamenti, trasformando il cimitero in un labirinto di memorie. Da un nucleo primitivo a un’estensione attuale con viali alberati e cappelle gentilizie – come Fusco, Ordioni, Papaccio – il sito evolve, incorporando stili dal neoclassico al gotico, dal rinascimentale all’egizio.
Queste strutture non sono mera pietra: sono dialoghi con l’eterno, dove simboli come colonne spezzate (morte premature o angeli con corone d’alloro) valorizzano gli avi di Pomigliano, artigiani di una comunità resiliente contro epidemie e guerre.
Infine, il Capitolo V introduce il Cimitero Nuovo, progettato nel 1978 per sopperire alla saturazione dello Storico.
Ubicato di fronte al vecchio, con estensione ridotta a 20.000 m² , presenta file di loculi, edicole e una chiesa moderna, con progetto e direzione dei lavori dell’ingegnere Rosario Maccarrone, mentre il geometra Bruno Canzano, con la sua ditta, si occupò della realizzazione pratica della costruzione, con crocifisso angolare e campi d’inumazione.
Le riqualificazioni recenti includono viabilità migliorata e parcheggi, simboleggiando un ponte tra passato e futuro. Qui, congreghe come quelle del SS. Sacramento continuano la tradizione, ospitando gli “ultimi” – i defunti recenti – in un legame che onora ogni esistenza, dal nobile al umile.
In questo libro, Vera Dugo Iasevoli non solo documenta fatti, ma infonde un’anima esistenzialista: il cimitero è “un silenzio che parla”, un “dormitorio” in attesa dell’alba eterna, un monito contro l’oblio.
Valorizzando Pomigliano d’Arco – terra di patrioti, fede e resilienza – e i suoi avi, l’autrice ci invita a camminare tra le lapidi non come visitatori, ma come eredi di un’eredità immortale.
Un’opera avvincente, essenziale per chi cerca radici nel flusso dell’esistenza: sì, si può fare, e si deve leggere.

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