L’eredità di Papa Francesco: il Papa gesuita che ha scosso la Chiesa e il mondo

Felice Massimo De Falco • 21 aprile 2025

Ora la Chiesa è chiamata a sfide complesse: saprà guardarle in faccia o ripiegarsi nell’arida liturgia?

Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, è tornato alla casa del Padre, lasciando un vuoto profondo e un’eredità complessa. Primo Papa gesuita, primo latinoamericano, primo a scegliere il nome Francesco, Bergoglio ha segnato un’epoca con un pontificato di rottura, capace di “terremotare” la Chiesa cattolica e di parlare a credenti e non credenti. La sua visione di una Chiesa come “accampamento di peccatori” – un’immagine che inizialmente poteva spiazzare per la sua inclusività senza confini – si è rivelata il cuore di un apostolato che ha cercato di incarnare il Vangelo nella concretezza del quotidiano, rompendo schemi e scuotendo il torpore di cristiani e atei.


All’inizio del suo pontificato, nel 2013, la sua idea di una Chiesa aperta a tutti, anche a chi viveva “fuori dai codici cristiani”, poteva sembrare un cedimento alla modernità, un modo per raccogliere “follower” più che formare “eletti cristiani”. Diverso dal suo predecessore, Benedetto XVI, che aveva cercato di ancorare la Chiesa ai valori originari della Parola, Francesco ha scelto un approccio terreno, quasi viscerale, che privilegiava l’abbraccio al giudizio. 


Benedetto, teologo rigoroso, aveva dovuto affrontare le pressioni di lobby interne – da quelle curiali, legate al potere e alla gestione economica vaticana, a quelle conservatrici, ostili a ogni apertura dottrinale – e il peso di scandali come quello della pedofilia e dello IOR. 


La sua rinuncia, nel 2013, fu un atto di umiltà ma anche un segno della difficoltà di riformare un’istituzione appesantita da resistenze interne.


Bergoglio, con il suo carisma gesuitico, ha invece scelto di affrontare queste sfide con un’energia dirompente. Da gesuita, ha incarnato un cristianesimo storicizzato, radicato nel tempo presente, che non si limitava a predicare ma mostrava con il corpo la misericordia di Dio. La sua semplicità – dalla scelta di vivere a Casa Santa Marta al rifiuto di simboli di grandeur – e i suoi gesti, come lavare i piedi a carcerati o visitare i migranti a Lampedusa, hanno tradotto il Vangelo in un linguaggio universale. 


Ha riformato la Curia con la Costituzione Praedicate evangelium, ha aperto ruoli di responsabilità a laici e donne, ha abolito il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali e ha rimosso la pena di morte dal Catechismo. Sul tema dell’omosessualità, pur ribadendo la dottrina cattolica, ha scelto parole di accoglienza: “Chi sono io per giudicare?” e, nel 2018, a un omosessuale cileno, “Dio ti ha fatto così e ti ama così”.


Non sono mancate le critiche. I tradizionalisti lo hanno accusato di ambiguità, persino di eresia, come nella lettera del 2017 che denunciava presunte eresie in Amoris laetitia. 


Alcuni hanno visto nel suo stile colloquiale e nelle decisioni verticistiche, come il ridimensionamento del Rito romano antico, un autoritarismo mascherato da umiltà. 


Eppure, Francesco non ha mai smesso di insistere sulla Chiesa come “ospedale da campo”, un luogo di cura per tutti, non un club esclusivo per i perfetti.


Cosa lascia Papa Francesco? A cristiani e atei, lascia l’esempio di una fede viva, che non si rifugia in astrattezze teologiche ma si sporca le mani con la realtà. Lascia una Chiesa più sinodale, che ascolta il “popolo di Dio”, e un invito a non temere le periferie, geografiche ed esistenziali. 


Lascia un cristianesimo che non si chiude nei dogmi ma si fa incontro, dialogo, fratellanza. Soprattutto, lascia la sfida di vivere il Vangelo con “fedeltà, coraggio e amore universale”, come ha ricordato il cardinale Farrell annunciando la sua morte.


Spetterà al suo successore raccogliere questa eredità e guidare una Chiesa chiamata, forse, a essere minoritaria ma autenticamente testimone, in un mondo che ha ancora bisogno di quella “grande verità” che Francesco ha incarnato: nessuno è escluso dall’amore di Dio.


Ora la Chiesa è chiamata a sfide complesse: saprà guardarle in faccia o ripiegarsi nell’arida liturgia?

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