Vincenzo De Luca, l’ultima giocata di poker come in un film di Pupi Avati
Sono sere umide di primavera, e la Napoli degli “addetti ai lavori” sembra trattenere il fiato.

Sono sere umide di primavera, e la Napoli degli “addetti ai lavori” sembra trattenere il fiato. Nel retrobottega di un vecchio caffè, con le sedie di legno che scricchiolano e il profumo di espresso nell’aria, c’è un tavolo dove si gioca una partita silenziosa. Non si scommettono soldi, ma il futuro della Campania: le elezioni regionali di ottobre 2025, un piatto da 14 miliardi di euro in fondi europei e il potere di chi controllerà appalti, nomine, consenso. Le carte sono distribuite, i giocatori si studiano. È una partita a poker, ma senza riflettori, come in una storia di Pupi Avati, dove ogni mossa nasconde un calcolo e ogni sguardo un timore.
Vincenzo De Luca è seduto al centro, con la giacca sbottonata e un sorriso che non tradisce nulla. Lo chiamano lo “sceriffo di Salerno”, e per un decennio ha tenuto in pugno la Regione, costruendo una rete di sindaci, imprenditori e fedelissimi. La Corte Costituzionale gli ha detto che non può giocare un’altra mano, ma De Luca non è tipo da alzarsi dal tavolo. Ha un asso: il 21% dei voti, secondo YouTrend, un bacino che può spostare gli equilibri. “La politica si fa coi fatti” dice sottovoce, tamburellando le dita. Le sue carte? Il jolly che può far vincere uno dei suoi bari o può far saltare il tavolo. O forse un accordo con PD e M5S per tenersi un pezzo di torta – assessorati, magari. Nessuno sa cosa sceglierà, ma tutti lo tengono d’occhio.
Di fronte a lui, Roberto Fico, con l’aria del predestinato. È l’uomo del “campo largo”, il patto tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, un’alleanza che tiene insieme PD e M5S con uno spago sottile. I sondaggi gli danno il 56,6% contro il 35,6% del centrodestra, se tutto il campo progressivo si presentasse unito, ma Fico sa che non è abbastanza.
Il suo passato – Reddito di Cittadinanza, Superbonus – è una carta forte per la base del Movimento e un oppiaceo per il ventre molle di Napoli, ma De Luca la guarda con disprezzo: “Assistenzialismo, ragazzo”. De Luca resta placido, ha un piano B: Sergio Costa, l’ex ministro dell’Ambiente, un nome più tecnico, gradito allo sceriffo. Costa potrebbe unire, ma la base pentastellata potrebbe storcere il naso. È un rischio.
Sul lato opposto, il centrodestra è un gruppo di giocatori che non si parlano. Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno, ha il gradimento più alto, il 25%, ma ha già passato la mano: “Non gioco”. Edmondo Cirielli, di Fratelli d’Italia, ha un buon 15-25% di chances di spuntarla, ma è troppo legato al partito d’origine per piacere a tutti. Ha bisogno di pensare ancora.
Gianpiero Zinzi, della Lega, è un’ombra con appena il 5%, un espediente per ottenere qualcos’altro al Nord. Poi ci sono nomi “aggreganti” – Mara Carfagna, che osserva da lontano, o Antonio D’Amato, l’ex Confindustria che sogna il tavolo ma è l’eterno candidabile. Sullo sfondo un outsider: Giosy Romano, poco noto ai campani ma bravo ad incubare imprese che non hanno colore. “Aspettiamo” sussurra Cirielli. Tradotto: sperano che De Luca faccia saltare il banco del centrosinistra. L’attesa è palpitante e denuda un centrodestra monco di leadership locali.
Il vero piatto al centro del tavolo sono i 14 miliardi di fondi di coesione e PNRR. Chi vince, decide come dividerli: appalti, nomine, clientele. Gli elettori, il croupier invisibile, hanno le loro priorità: sanità, con ospedali al collasso; lavoro, con la disoccupazione che morde; trasporti e rifiuti, che intasano le città. Vis Factor, che legge i social, dice che sono questi i temi che fanno la differenza. Il candidato che saprà parlarne con credibilità avrà una carta in più.
De Luca guarda le sue carte, poi gli altri. Potrebbe appoggiare Fico o Costa, ma vuole garanzie per i suoi. Oppure potrebbe mischiare tutto, lanciando una lista autonoma che spezzi il campo largo. Elly Schlein annusa il bluff e vuole che De Luca non si sieda proprio al tavolo. Preferirebbe perdere la Campania pur di perdere De Luca. Costa è la sua via d’uscita, ma sa che il Movimento vuole un simbolo, non un compromesso.
Il centrodestra, meanwhile, resta fermo, sperando in un errore altrui.

Le possibilità si disegnano come mani di carte. La più probabile, al 45%, vede Fico o Costa vincere, con De Luca rabbonito da un assessorato per i suoi.
Poi c’è il 35%: De Luca rompe, il centrosinistra si frantuma, e un “alieno” del centrodestra – magari Romano – pesca il piatto. Al 15%, De Luca sciorina il suo alter ego Bonavitacola e il PD un po’ trema. Infine, il 5%: Italia Viva o Azione, sono pronti a cavalcare il caos.
Il caffè si svuota, la notte avanza. De Luca si alza per primo, con un mezzo sorriso: «L”Che la Madonna vi accompagni”.
La partita non è finita, e la Campania, come un racconto di Avati, è un intreccio di promesse, tradimenti e speranze sospese.
Perfetto, chiudo la narrazione con un finale ispirato a Regalo di Natale di Pupi Avati, dove l’atmosfera si fa densa di ambiguità, malinconia e rivelazioni trattenute. Nel film, la partita a poker si risolve con un misto di tradimenti, rimpianti e un senso di incompletezza, lasciando i personaggi a fare i conti con le loro scelte. Qui, la partita per le elezioni campane 2025 si chiude con una svolta che non è né trionfale né tragica, ma carica di sottintesi, con i giocatori che si separano portando con sé segreti e promesse non mantenute. Mantengo il tono sobrio e avvolgente del testo precedente, con l’intimità di un caffè napoletano e la metafora del poker, ma il finale avrà quella nota avatiana di sospensione e introspezione.
L’orologio segna la notte fonda. Il caffè è un guscio di ombre. Le carte sono sul tavolo, ma nessuno ha ancora mostrato la mano vincente. De Luca si alza lentamente, sistema la giacca. Sorride sornione. Esce, lasciando dietro di sé un silenzio che pesa. È un bluff? Ha già un accordo con Fico, un assessorato per Bonavitacola, o sta preparando una lista che spaccherà tutto? Nessuno lo sa, e questo lo rende ancora il padrone del gioco.
Come in un vecchio film di Avati, la partita non finisce con un colpo di scena, ma con un’occhiata che dice tutto e niente. La Campania, con i suoi ospedali, le sue strade, i suoi sogni, aspetta. E il mazzo, da qualche parte, è già pronto per essere mischiato di nuovo.


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