Ma se i figli, oltre ad essere un dono di Dio, sono l’imprescindibile impalcatura per garantire il futuro del genere umano e della società, sembra essere intellettualmente miope il concetto sul quale si fondano alcuni divieti che, contrariamente, dovrebbero essere regolamentati senza pregiudizi nell’ottica di nuove opportunità senza distinzione alcuna.
Le abitudini sono dure a morire e anche quelle più insolite tendono a normalizzarsi a seguito di una pratica costante, malgrado siano capaci di scuotere e dividere l’opinione pubblica in merito all’etica della loro applicazione pratica. Senza ombra di dubbio lo sono le tecniche legate alla riproduzione assistita e, in particolar modo, alla pratica della maternità surrogata, comunemente detta dell’utero in affitto con dibattiti che s’ergono ad ogni cambio di Governo o tutte le volte che i media la rispolverano come l’ultima frontiera della tecnica riproduttiva, ma in realtà risalente al trentennio scorso.
Infatti, ufficialmente, la prima nascita grazie alla maternità surrogata è stata registrata negli Stati Uniti nel 1986 dopo che a una donna, a cui era stato esportato l’utero, in seguito a una gravidanza culminata con la morte prematura della sua bambina in grembo, era ricorsa alla surrogazione tradizionale per coronare il desiderio d’essere madre. Una tecnica, quest’ultima, che prevede la fecondazione di una donatrice di ovuli e di utero con il gamete del padre biologico, ritrovandosi ad avere una coppia genitoriale formata da un padre naturale e una madre adottiva.
Questa tecnica, che identifica la madre surrogata e quella biologica nella stessa persona, è vietata in molti paesi; diversamente dalla surrogazione gestazionale in cui s’impianta l’ovulo fecondato nell’utero di una donna ospite consenziente ad accogliere i gameti di entrambi i genitori biologici, onde consentire la maternità a donne incapaci di portare a termine una gravidanza.
Raccontata così potrebbe essere un grandissimo atto di generosità, al punto che qualcuno ha perfino chiamato in causa la cristianità facendo risalire la maternità surrogata all’Annunciazione, quando l’Arcangelo Gabriele comunicò alla Vergine Maria che avrebbe dato alla luce un figlio non suo. Ma dal momento che tale pratica è legata ad un tariffario che oscilla tra i diecimila e quaranta mila euro a seconda del paese in cui è applicata, un vespaio di polemiche è stato sollevato sul legame sempre più stringente tra desiderio di genitorialità e disponibilità economica.
Per molte voci, più o meno autorevoli, l’atto riproduttivo biologico è concepito in natura come perpetrazione ed evoluzione della specie, e non come un escamotage per soddisfare il desiderio di genitorialità, malgrado le limitazioni imposte per natura alla coppia stessa. Voci che spesso tengono poco conto dell’aspetto umano e sociale di famiglia moderna e dei suoi nuovi bisogni distendendo continue obiezioni, non solo al desiderio, ma anche alla necessità di strutturare nuove famiglie sferrando dei colpi bassi ai soggetti più deboli e alle coppie omogenitoriali, la cui unica possibilità d’avere un figlio –partendo dal concepimento– è riposta nelle tecniche di maternità surrogata o di fecondazione assistita.
Tecniche spesso osteggiate da indicazioni di fede o di etica non del tutto definita, e da motivi economici che le trasformano in un lusso, dopo che sono balzati agli onori delle cronache i casi del cantante Elton John, dell’attrice Nicole Kidman o in Italia quella del politico Nichi Vendola che hanno beneficiato di una tale possibilità per soddisfare il desiderio di genitorialità
Ma se lasciamo passare il concetto –senza le giuste riflessioni– che un desiderio (in particolare la genitorialità) non è mai assimilabile ad un diritto, si rischia di escludere dalla vita sociale e dalle aspettative future gran parte della popolazione, negando di fatto i principi di uguaglianza e discriminando chi non dispone di mezzi adeguati, malgrado, ad oggi, la maternità surrogata sia ancora un tema controverso e legalmente vietata dalla legge 40 del 2004 sulle norme in materia di procreazione medicalmente assistita.
Successivamente, nel 2021 la Corte Costituzionale ha ribadito che il divieto è motivato a tutela della dignità della donna per evitare casi di sfruttamento per chi vive in situazioni sociali ed economiche disagiate. Concetti che, senza ombra di dubbio, sono costellati da buone intenzioni, ma tendono a circoscrivere una lista di privilegi per i più ricchi, capaci di aggirare il divieto trasferendosi temporaneamente all’estero per ritornare in Italia con un figlio tanto desiderato, sottoponendolo, però, al rischio d’essere incolpevole debitore delle leggerezze dei suoi genitori; come è accaduto ad una coppia di Brescia a cui è stato sottratto un bambino nato nel 2011 in Ucraina con la maternità surrogata.
Ma se i figli, oltre ad essere un dono di Dio, sono l’imprescindibile impalcatura per garantire il futuro del genere umano e della società, sembra essere intellettualmente miope il concetto sul quale si fondano alcuni divieti che, contrariamente, dovrebbero essere regolamentati senza pregiudizi nell’ottica di nuove opportunità senza distinzione alcuna.
di Mario Volpe
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