"Non abbiamo nomi, questo è il problema" dice con rammarico un fedele servitore dei 5 stelle. "Poi chi portava i voti al Movimento non c'è più, è tutto da vedere prendere gli stessi voti di 3 anni fa". "La verità", conclude amaro, è che dovremmo andare da soli e non ricalcare gli errori recenti". "Ricandidare Del Mastro? Sarebbe avventato ma è l'unico paravento alle nostre nudità".
Con un Partito Democratico, messo nelle mani di un "facilitatore" (cosi si chiama), dimezzato dopo la dipartita del segretario locale Eduardo Riccio verso altre sponde, con un M5S alle prese con la ricostruzione della propria identità ma sopratutto con la selezione non sempre facile di personale politico da mandare nell’arengo elettorale e con tutto il plancton di sinistra-sinistra, ondivago, instabile come un Vulcano, con le stigmate di lotta e di governo, il centrosinistra appare orfano di nomi spendibili per la guida della città. Un altro outsider misconosciuto non sarebbe digerito dall’elettorato che ora pretende stabilità e un clima di governo sereno e saldo.
Dopo la “caduta degli dei”, le stelle illusorie, la congiuntura storica in cui si ritrova la città, alle prese con nuove povertà, disuguaglianze e incertezza amministrativa, scavano uno iato profondo tra credibilità e un deus ex machina capace di saltare in sella ad un cavallo sbizzarrito qual è l’opinione pubblica pomiglianese. Siamo davanti ad una crisi epocale politica e di uomini: scegliere al buio non si può più.
E nonostante il corpaccione di sinistra (che ha più sigle che nomi) si dia da fare per rifarsi un maquillage da protagonista, è una gran fatica individuare quel nome dal profilo giusto che faccia da collante alla coalizione ma sopratutto sappia fare il mestiere di primo cittadino. È una fase tale di disperazione che potrebbe spingere il centrosinistra a guardarsi indietro e puntare ancora una volta sull’esule di Marano, Gianluca Del Mastro, rischiando fischi e pernacchie ma l’unico capace di tenere unito il centrosinistra ripresentandosi con lo storytelling dell’accoltellamento alle spalle mentre era lesto a guidare quell’Arca di Noè che era diventato il suo governo. Insomma, avrebbe più da accusare che da dire cosa fare.
Qualche segnale di richiamo a Del Mastro c'è, se vogliamo, ed è sancito nel patto tra quel che resta del Pd e Rinascita: uno dei punti chiave è non ricandidare nelle proprie liste chi ha agito contro il papirologo-sindaco, andando dal notaio o dimettendosi da cariche assessoriali. Ci sono i semi di una difesa assieme al vociare di una congiura dettata da interessi "impronunciabili", teoremi caduti come peri dall'albero dopo la sentenza del Tar. E sembra strano che proprio Rinascita, che dice di aver fatto parte di questo governo solo 9 mesi, abbia fatto da megafono a queste tesi.
E in fin dei conti è sull’astio verso chi lo ha disarcionato dal comodo e danaroso seggio che va componendosi il canovaccio sinistro. La coreografia del rancore sarebbe presto fatta e ricaccerebbe la città nella caccia irriguardosa all’inciucio spicciolo. Giganteschi capri espiatori, il complottismo di manierza, il potere camorristico latente ed altre trovate lisergiche: un’impalcatura robesperiana degna di un uomo in balia delle correnti nemiche, mentre prendeva ordini da luogotenenti stellati.
Un potenziale ritorno non aprirebbe grossi scenari: la caduta dal trono è stata fragorosa e d’altronde non gode il papirologo di buona opinione pubblica. Ci sarebbe voglia di riscossa, ma i contendenti sarebbero altri, e molto più scafati. Ad ogni modo, in assenza di candidati-bandiera, Del Mastro, il sindaco eterodiretto da chicchesia, aspetta una chiamata, l’ultima.
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