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Suicidio assistito, la libertà di vivere o morire sia un diritto inalienabile

Francesco Urraro • 28 agosto 2022

Suicidio assistito, la libertà di vivere o morire sia un diritto inalienabile

La Camera dei deputati ha approvato in prima lettura il 10 marzo 2022, il testo che reca disposizioni in materia di "morte volontaria medicalmente assistista", disciplinando la facoltà di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente ed autonomamente alla propria vita, in presenza di specifici presupposti e condizioni. A tal fine, il testo individua altresì i requisiti e la forma della richiesta, nonché le modalità con le quali può avvenire la morte volontaria medicalmente assistita. Si prevede inoltre l'esclusione della punibilità per il medico, il personale sanitario e amministrativo nonché per chiunque abbia agevolato il malato nell'esecuzione della procedura di morte volontaria medicalmente assistita cui si sia dato corso nel rispetto delle disposizioni di legge. Specifiche disposizioni concernono inoltre l'obiezione di coscienza del personale sanitario e l'istituzione dei Comitati per la valutazione clinica presso le aziende sanitarie territoriali.


Il tema della liceità dell'agevolazione dell'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da patologia irreversibile è stato oggetto di intervento della Corte costituzionale. La Corte ha dapprima formulato un monito "a tempo" al Parlamento, affinché lo stesso intervenisse su una tematica in cui è presente "l'incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere" (ordinanza n. 207 del 2018), e poi ha dichiarato l'incostituzionalità della fattispecie penale dell'aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con determinate modalità, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente (sentenza n. 242 del 2019). Dichiarando l'incostituzionalità, la Corte ha contestualmente ribadito «con vigore l'auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai principi precedentemente enunciati».

La sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019


Come è noto, sul tema della morte volontaria medicalmente assistita, con specifico riguardo alla fattispecie dell'aiuto al suicidio di cui all'articolo 580 del codice penale, è intervenuta la Corte costituzionale. La Corte è intervenuta in primo luogo con l'ordinanza n. 207 del 23 ottobre 2018. In tale ordinanza, la Corte ha escluso che l'incriminazione dell'aiuto al suicidio, ancorché non rafforzativo del proposito della vittima sia, di per sé, incompatibile con la Costituzione in quanto essa si giustifica in un'ottica di tutela del diritto alla vita, specie delle «persone più deboli e vulnerabili». La Corte ha individuato tuttavia un'area di non conformità costituzionale della fattispecie, corrispondente ai casi in cui l'aspirante suicida «si identifichi in una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli». In tale evenienza, secondo la Corte, il divieto indiscriminato di aiuto al suicidio «finisce [...] per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un'unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive». Con l'ordinanza citata la Corte ha disposto il rinvio del giudizio di costituzionalità dell'art. 580 c.p. , per dare al legislatore la possibilità di intervenire con una apposita disciplina «che regoli la materia in conformità alle segnalate esigenze di tutela».


Trascorso il tempo indicato nell'ordinanza, la Corte ha ritenuto, "in assenza di ogni determinazione da parte del Parlamento", di non poter "ulteriormente esimersi dal pronunciare sul merito delle questioni, in guisa da rimuovere il vulnus costituzionale". Con la sentenza n. 242 del 2019, la Corte ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., l'articolo 580 c.p., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dalla legge n. 219 del 2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

Con riguardo agli effetti della pronuncia sul piano temporale la Corte specifica che i requisiti procedimentali indicati, quali condizioni per la non punibilità dell'aiuto al suicidio prestato a favore di persone che versino nelle situazioni indicate analiticamente nella sentenza, valgono per i fatti successivi alla pubblicazione della sentenza stessa nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (avvenuta il 27 novembre 2019).

Non potendo le medesime condizioni procedimentali "essere richieste, tal quali, in rapporto ai fatti anteriormente commessi, come quello oggetto del giudizio a quo, che precede la stessa entrata in vigore della legge n. 219 del 2017" la Corte specifica che in tali evenienze "la non punibilità dell'aiuto al suicidio rimarrà subordinata, in specie, al fatto che l'agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse da quelle indicate, ma idonee, comunque sia, a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti".


Sarà quindi necessario che il giudice, nel caso concreto, accerti che "le condizioni del richiedente che valgono a rendere lecita la prestazione dell'aiuto – patologia irreversibile, grave sofferenza fisica o psicologica, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità; di prendere decisioni libere e consapevoli – abbiano formato oggetto di verifica in ambito medico"; che "la volontà dell'interessato sia stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è; consentito dalle sue condizioni"; che "il paziente sia stato adeguatamente informato sia in ordine a queste ultime, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all'accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua".



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