Da secoli risulta ormai radicata l'idea della diversità non solo formativa e culturale del poeta o dello scrittore rispetto allo scienziato, ma anche come atteggiamento di vita e di interpretazione della vita stessa. Un tempo poteva darsi che un tecnico si vantasse di coltivare le arti e le lettere, ma ciò era di fatto considerato come un “hobby” innocente.
Poteva darsi che un letterato si “piccasse” di correre dietro agli ultimi ritrovati della fisica pura, ma ciò era considerato alla stregua di una delle tante manie o stranezze a cui soggiacciono siffatte persone.
Che la divisione tra “le due culture”, quella dei “tecnici” e quella degli “umanisti”, fosse un fatto piuttosto recente, nato all'incirca due secoli orsono, pareva solo un segno che la cultura si era ormai specializzata, che il mondo, in ultima analisi, era progredito. Il problema è cominciato a porsi, nel momento in cui non si è più riconosciuta giustificabile la contrapposizione tra quelle che C.P.Snow, ad esempio, definiva le due culture ( la “cultura umanistica” e la “cultura scientifica”). Questo autore rilevava come cominciasse ad apparire socialmente e storicamente inadeguata la divisione tra l'ambito umanistico e l'ambito scientifico, inteso quest'ultimo come settore delle scienze esatte.
La scuola tradizionale d'altra parte si è retta per duemila anni su questa classica organizzazione e divisione del sapere e della scienza in materie, operata fin dai tempi di Aristotele, ma poi via via estremizzata e parcellizzata. La nuova concezione della cultura e dell'educazione presuppongono invece “una unificazione del sapere”, che può solo nascere da un'ottica che superi le singole discipline in una visione appunto interdisciplinare.
Il sapere, così come le conoscenze che gli uomini hanno organizzato nel corso del tempo, hanno infatti un fondamento problematico in quanto costituiscono il tipo di risposta storica che gli uomini stessi, sulla base dei risultati della ricerca scientifica del tempo, sono riusciti via via a dare. Ciò che è sempre esistito nella realtà, infatti, non sono le discipline come saperi organizzati bensì, i problemi che, in ogni tempo e in ogni occasione, hanno richiesto e richiedono tuttora soluzioni, per giungere alle quali è stato necessario tener conto di vari punti di vista.
Noi, in altre parole, abbiamo sempre pensato e continuiamo a pensare per problemi, non per materie di studio o per settori di ricerca e, i problemi, ovviamente, superano i confini delle singole materie, degli specifici ambiti disciplinari.
E, sono appunto le materie e le discipline organizzate all'interno degli ambiti scientifici, a darci, di volta in volta, le chiavi di lettura della realtà e, quindi, in quanto modelli interpretativi dei fenomeni e degli eventi, ad indicarci le procedure metodologiche e tecniche per la scelta delle risposte. Pertanto, le discipline dovrebbero servire come mezzo per giungere all'osservazione degli aspetti della realtà naturale ed umana che circondano l'alunno.
Tali aspetti sono evidenziati nella situazione storica, sociale e spaziale in cui ciascun allievo vive, ma sono anche riconoscibili attraverso il patrimonio storico delle conoscenze acquisite, che gli viene trasmesso mediante i programmi scolastici.
Partendo dall'osservazione e dall'analisi della realtà presente, l'allievo potrà essere abituato a scoprire e a conoscere, utilizzando le conoscenze disciplinari, le differenze e le analogie tra il mondo dei fenomeni naturali, il mondo dei fenomeni umani, il mondo delle trasformazioni tecniche operate dall'uomo. Tale osservazione lo porterà a scoprire, volta per volta, analogie e differenze tra fenomeni naturali, umani e tecnici.
Le varie discipline gli verranno proposte, allora, per fornirgli la giustificazione conoscitiva di queste differenze e/o analogie, ritrovando la oro interna funzione significativa.
Ne consegue che l'interdisciplinarità deve poter contare sulla costruzione precisa e puntuale di un itinerario metodologico,ipotizzato per un progetto e su una prassi costante di verifica degli obiettivi di nuovi intrecci.
Le professioni del futuro prevedono, pertanto, una scuola con una sua nuova centralità, perchè ad essa si ripropone, il compito d una seconda alfabetizzazione, quella diretta non ai giovani soltanto, ma alle comunità nel loro complesso: le figure nuove della scuola, dovranno contribuire a ridisegnare un'istituzione che dall'attuale produzione d una doppia povertà ( spreco economico e spreco di talenti ) passi ad essere un laboratorio di formazione di individui capaci di risolvere problemi, nel quale entri il concetto rogersiano in base al quale chi a scuola avrà <<imparato come si impara>> sarà in grado di <<collocarsi nel mondo>> da <<artefice>> e <<protagonista>>. In una società in rapida evoluzione, come quella attuale, infatti, egli potrà gestire il cambiamento, anziché subirlo.
Orbene,la neo-centralità della scuola si gioca tutta dal punto di vista dell'istruzione, di una scuola che diventi una nuova <<leva di occupazione>>, secondo la bella espressione.
Ebbene, la riuscita di un tale progetto politico e culturale è oggi possibile dal momento che son state vinte resistenze corporative e tentativi di chiusura tra le varie istituzioni: oggi è ormai comune pensare chela scuola può essere frequentata e lasciata per essere ripresa in epoche successive; è ormai prassi normale l'idea di spendere un periodo della propria formazione negli uffici, nelle fabbriche, nelle aziende sul territorio per acquisire consapevolezza dei problemi e per ritornare a pensarli e a risolverli sulla base di esiti scientifici e tecnologici nuovi ed alternativi.
di Mario Sorrentino, già Dirigente scolastico
Testata Giornalistica con iscrizione registro stampa n. cronol. 1591/2022 del 24/05/2022 RG n. 888/2022 Tribunale di Nola