Ridare dignità sociale e rispetto al ruolo dell’insegnante ormai bistrattato
Ridare dignità sociale e rispetto al ruolo dell’insegnante ormai bistrattato

L’insegnante valorizza il sapere e aiuta lo studente ad elaborare il senso critico individuale e la personale genialità lavorando sui talenti di cui dispone. Forse sarà stato questo a spingere perfino uno studente discolo come Pinocchio ad essere perentorio nel voler andare a scuola nei riguardi del Gatto e la Volpe quando tentavano di dissuaderlo dai suoi boni propositi. Certo quella era una favola, una fotografia di tempi che sembrano lontani, ma sulla scuola e sul loro esercito d’insegnanti si continua a scaricare una valanga di responsabilità come se tutte le attuali inefficienze, o presunte tali, del sistema educativo del nostro paese siano a carico dei docenti, a cui non è solo affidato il compito di trasferire la conoscenza, di formare i professionisti e la classe produttiva e dirigente del futuro; ma anche quella di sostituirsi –in tutto in parte– al ruolo genitoriale a cui le famiglie addossano ogni genere di responsabilità.
Ormai gli insegnanti, in particolare negli ultimi anni, accolgono il grido di studenti disagiati; di coloro i quali non riescono ad ottenere la dovuta attenzione in famiglia; di chi ha la psiche devastata da contrasti violenti in casa; di chi ha problemi di apprendimento e di chi ha genitori rinchiusi in galera per le ragioni più disparate. Per non parlare delle necessità di organizzare la didattica, valutare con giusto equilibrio il profitto di ciascuno studente, evitando involontarie offese verso quelle più sensibili tenendo sempre l’attenzione alta verso gli allievi brillanti e impegnati a cui spetta il giusto riconoscimento. Un lavoro, senza ombra di dubbio, carico di soddisfazioni morali, ma non adeguatamente compensato dal momento che di bisogno materiale poco si parla con il pretesto che il ruolo di valenza intellettuale non dovrebbe essere accostato al vile danaro. Eppure, la gestione di una classe, o di più classi richiede, oltre alle conoscenze specifiche delle materie oggetto d’insegnamento, capacità manageriali non indifferenti; spirito organizzativo e abilità d’intermediazione necessarie per reggere gli equilibri tra i ragazzi, con le loro famiglie, oltre a ponderare le differenti visioni operative tra gli stessi colleghi. Competenze e lavoro che forse andrebbero gratificate diversamente considerando che, infondo, un’insegnante non è avulso dagli stessi problemi che affrontano le famiglie italiane.
Mutui, malattie, incomprensioni a casa, gestione degli anziani, lavoro, relazioni di coppia, dialogo con i figli, sono soltanto alcuni degli aspetti che l’ormai bistrattato insegnante si ritrova ad affrontare dentro e fuori l’ambiente domestico. Difficoltà generali per tutti che la recente pandemia e i due anni di chiusure totali hanno contribuito a trasformare e inasprire, generando nuovi aspetti sociali con cui confrontarsi. Uno su tutti la famosa DAD, un maligno acronimo per identificare l’uso di videolezioni dalla propria residenza che, da genitori poco informati, è stata etichettata come l’ennesimo privilegio offerto alla categoria dei docenti che avrebbero potuto lavorare senza muoversi da casa e senza la fatica di tenere le briglie di scolaresche scalmanate.

Ma in verità, come hanno confermato gli stessi studenti, la didattica a distanza è stata una bolgia infernale che ha prodotto più danni che benefici, costringendo gli insegnanti a trasformarsi in programmatori di computer, esperti operatori audio video e moderatori social sempre per la stessa retribuzione, o l’aggiunta di bonus poco dissimili alle raccolte punti dei centri commerciali.
È pur vero che la professione di docente è considerata, dall’opinione pubblica, un servizio sociale; aggiungerei come una missione umanitaria, nondimeno ciò non sottrae altri paesi d’Europa come la Danimarca, il Lussemburgo e la Germania nel valutare il ruolo dell’insegnante tra le professioni ad alto prestigio e utilità civile al punto da attribuire compensi annuali oltre i cinquantamila euro annui, in controtendenza con l’Italia (fanalino di coda), per lo statino paga e, soprattutto, per il rispetto del lavoro d’insegnante, spesso oggetto di vessazione e violenza fisica e morale da parte degli stessi studenti e perfino da genitori insoddisfatti e inadeguati. Scherno, spintoni, atti di ribellione, minacce e danni fisici perpetrati come glorioso coraggio e, malgrado il nostro ordinamento penale stabilisca il ruolo di pubblico ufficiale per i docenti, sono sempre meno le condanne esemplari in tribunale per atti di violenza ai danni di chi consuma e sacrifica le propria vita per garantire il futuro di tutti; anche di quel genitore che lo scorso maggio ha percosso un professore per un voto non gradito da sua figlia.
Mario Volpe
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