"Dottore, sono di nuovo depressa"
Non rispose neppure al mio "buongiorno", anticipando il mio solito "come va?", lasciando che a rispondere fosse la sua angoscia. Era solita dire che era tornato il Dr Jekyll, contrapposto al gaudente Mr Hyde; quest'ultimo più angosciante per la sua famiglia che per se stessa, in una inconsapevolezza che non voleva saperne di ragionamenti e spiegazioni, neppure a bocce ferme.
"Le ricordo che il Dr Jeckyll era quello sano, non quello depresso", esordii, sperando in un briciolo della sua attenzione. "La questione è proprio questa, mia cara Alice: lei vede la sua normalità nello stato di beatitudine, di accelerazione, di furore, di estasi. Tutto ciò che scenda anche solo di un millimetro rispetto a questo cerchio celeste è inferno. Sembra quasi che, nella sua rappresentazione di questo disturbo, la sua malattia sia governata da un interruttore: lei è spenta o e accesa. Eppure non è così vecchia da essere rimasta alle candele, alle luci a gas o a quelle che ricordo io, essendo io diversamente giovane a differenza di lei, che non potevano regolarsi in alcun modo.
Quelle non dimmerabili, per dirle come si dice adesso, con un neologismo mutuato da una lingua altra che, forse, non conserva neppure il suo significato originario. Eppure facciamo a capirci. Proviamo a capirci, Alice: si può essere stanchi, si può essere tristi, si può essere normali. Così come lei potrà essere, e questo lo ricordo sempre ai suoi familiari, allegra e felice senza essere maniacale, senza essere ipertimica. Arrabbiata, incazzata, furiosa, senza dover prendere altri farmaci, o aumentare i dosaggi di quelli che prende adesso.
Ecco, questa è la differenza tra me e lei e tra me ed i suoi familiari: se lei mi dice che è depressa, io le chiedo cosa è successo, se i suoi familairi mi dicono che la vedono troppo su io le chiedo come sta. Io parlo con lei. Io ho bisogno di decifrare questo suo neologismo, questo termine che, nella sua intenzione ed in quella dei suoi cari, ha un significato preciso, ma che nella realtà potrebbe essere tutt'altro. Sa cos'è la psichiatria, mia cara Alice? La psichiatria è disattendere il sintomo. Crede forse che chi ha scritto le avventure della sua omonima abbia davvero incontrato il Cappellaio matto o la Regina di cuori? Lo psichiatra è il lettore consapevole delle storie dei pazienti; le legge con attenzione, le fa sue, le interpreta affinchè il significato più intimo e vero vada oltre quello manifesto. I manifesti, mia cara Alice, vanno bene per la pubblicità, e la pubblicità sta alla vita come questa sua riferita depressione sta al suo umore vero: è una rappresentazione, non la realtà. Cosa le è successo? Me lo vuole dire?".
Così cominciò a parlare, a parlarmi di lei e del suo ragazzo. Quello che la aveva tradita e lei l'aveva perdonato, quello che, quando era stata male la prima volta, l'aveva lasciata. Quello che, a suo dire, approfittava dei suoi momenti di trasformazione per fare i cazzi suoi.
"Ma se dico che è uno stronzo, dice che mi devo curare, se gli urlo in faccia dice che chiama il 118. Poi lui prende a pugni il muro se perde una bolletta e sono io quella che deve prendersi i farmaci!".
"Lei prende i farmaci perchè, forse, è lei quella sana tra i due", le risposi strappandole un sorriso. Quando se ne andò, riposi con cura il mio cappello, congedai il Bianconiglio ed aprii le finestre per far uscire tutto il fumo del Brucaliffo.
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