Ogni anno , in Italia, mille persone innocenti - 3 persone ogni giorno - si ritrovano vittime degli abusi della custodia cautelare. È solo uno dei numeri, forse il più tragico, che dimostra, plasticamente, come nel nostro Paese la giustizia non funziona. E costa. Innanzitutto per i risarcimenti da ingiusta detenzione. Dal 1992 ad oggi lo Stato ha speso oltre 900 milioni di euro. Un fiume di denaro, non solo sprecato, ma anche insufficiente a riparare il danno per la vita rovinata di chi si è visto strappare alla propria famiglia e al proprio lavoro, si è trovato sbattuto sui giornali, esposto alla pubblica riprovazione per poi dover attendere lunghi anni prima che emerga la verità.
D’altronde, ricevere una risposta rapida, in Italia, è una chimera, a causa dei tempi biblici dei processi, la cui durata media è il doppio di quella europea. Tempi infiniti, che, paradossalmente, favoriscono chi viene condannato; insomma, è più facile tornare in libertà per i colpevoli, che per chi è estraneo alle accuse. Ma non è solo un problema di errori giudiziari e i costi della giustizia non sono certo solo quelli che seguono alle ingiuste carcerazioni. In Italia la giustizia costa sempre di più sopratutto per chi non può permetterselo, cittadini comuni e piccole imprese innanzitutto. Sedi disagiate, moltiplicazioni e complicazioni dei riti processuali, pochi magistrati, udienze affastellate.
E il paradosso è che, invece di scardinare questo sistema inefficiente e dannoso anche all’immagine del Paese, tanto da essere tra le principali ragioni che scoraggiano gli investitori stranieri, si è scelto di rendere sempre più costoso l’accesso alla giustizia, aumentando vertiginosamente il costo di tasse e tributi da pagare allo Stato e riducendo il numero dei tribunali. Non solo. Esiste un problema di efficienza e di qualità del sistema, sul quale è difficile intervenire se, per esempio, professionalità e competenza dei magistrati sono valutate esclusivamente da altri magistrati, con una chiara sovrapposizione tra controllore e controllato.
Dove a dominare sono le correnti della magistratura, dove gli incarichi ai giudici vengono affidati attraverso una logica “spartitoria”, indegna per un Paese che voglia dirsi civile. Insomma,una giustizia diversa serve all’Italia e non solo agli operatori del diritto. E se, dopo 40 anni di interventi parlamentari timidi e contraddittori, condizionati da logiche di appartenenza ideologica e da interessi di categoria, è evidente che occorre spostare il piano, chiedendo direttamente agli italiani di esprimere il loro giudizio. Al di là del campo di azione, della scelta e dell’identità politiche, il prossimo 12 giugnosiamo dunque chiamati a partecipare ad una battaglia di civiltà, che non è solo della Lega e degli altri partiti che hanno lanciato i quesiti referendari, ma è di tutti i cittadini italiani. Il silenzio calato su questa straordinaria opportunità di cambiamento è il drammatico segnale che esiste tuttavia una precisa volontà, non dichiarata, di oscurare questa opportunità.
Ecco perchè abbiamo ancora di più il dovere di avviare una mobilitazione generale, di coinvolgere tutti i nostri conoscenti, di spiegare loro che tutto quello che non funziona, un domani può riguardare direttamente le loro, singole, vite. Tanto che si tratti di micro giustizia negata, tanto che si diventi vittima di arresti frettolosi. E’ un’occasione da non sprecare. Per dire basta alla legge Severino, ai danni provocati con l’allontanamento, prima di una sentenza definitiva, di amministratori democraticamente eletti scelti dai cittadini e che spesso poi risultano innocenti. Per dire basta agli abusi della custodia cautelare; per l’equa valutazione dei magistrati. Per avere tempi certi nella definizione dei processi. Per la separazione delle carriere in magistratura.
Ecco perché il prossimo 12 giugno bisogna andare a votare e votare “SÌ” ai 5 referendum sulla giustizia. Si può e si deve cambiare, per mettere fine agli errori e agli orrori del passato e del nostro presente. L’Italia e gli italiani meritano una giustizia giusta. Ne parleremo a Napoli il prossimo 6 giugno, alle 16.30, a Palazzo Caracciolo, via Carbonara, 112, ascoltando la viva voce di chi ha scoperto che essere innocenti in Italia non basta, ma occorre doverlo dimostrare. Per conoscere i contenuti delle proposte referendarie da professori universitari, magistrati e avvocati. Per dialogare coi segretari e gli esponenti nazionali dei partiti che credono in questi referendum come occasione per dimostrare che la politica può andare oltre la logica degli schieramenti e lavorare per restituire dignità, garanzie e sicurezze ai cittadini.
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