Quanto è triste la politica senza quel Peppone di Don Peppino?

Felice Massimo De Falco • 16 marzo 2023

Don Peppino vezzeggiava i suoi avversari agitando la Sacra Bibbia, recitava omelie sempre più salaci contro il potere che pure desiderava e fomentava i suoi fedeli orchestrali a diramare il verbo. Era il suo stile, il suo modo di incarnare la parola di Dio, il suo disegno di un catto-comunismo che impregnasse il paese, salvo andare in fregola per il potere, il dominio delle menti da plasmare secondo i suoi precetti. Non che non sia un buono, ma aveva un carattere da scorticare, e nessun vescovo lo ha mai portato a miti consigli. Era un uomo libero, ma non conosceva forse la liceità di certi gesti

Ad occhio e croce la prossima tornata elettorale sarà la prima dopo decenni senza le sortite luogocomuniste di Don Peppino Gambardella, gagliardo parrocco della Rettoria del Carmine e fervente sostenitore delle cause di una sinistra lacunosa, tra cui spesso il Peppone di Pomigliano, santone del potere che tira, si intrufolava con le sue omelie degne di una relazione congressuale. A dire il vero ci mancherà quel suo presenzialismo di parte e la sua capacità di sedersi sempre dalla parte della ragione, dove era il lavacro del potere.


Messi da parte gli arnesi marxisti, in ultimo ci aveva provato con Luigi Di Maio a farsi suo padre spirituale, nonostante che il potente ex ministro grillino non fosse mai stato un sacrestano diligente (nessuno lo ha visto mai in Chiesa), ma l’effervescenza cieca del potere,che pure i prelati contamina, lo avevano fatto diventare primo follower di Luigino al punto tale da coinvolgere anche il caro e bonario Don Mimmo Iervolino che addirittura in Berlusconi vedeva segni demoniaci. I due parroci, ignari ferventi sponsor della Casaleggio&Associati, arrivarono a mettersi anche felpe e sciarpe inneggianti Luigino nel Palazzetto dello Sport, dove il pomiglianese Luigino teneva un comizio.


Era l’anno buono, i grillini salivano al massimo soglio del potere e con loro l’orgoglio di Don Peppino fattosi Peppone, capace di spostare voti nella sua vivace cappella di infervorati e contaminati dai suoi dogmi del potere scambiati per orazioni per gli ultimi. Comunque il fatto ebbe un’eco eclatante, ci fu la reazione dura degli altri partiti e di Lello Russo, con cui erano frequenti i bacchettamenti, i giornali immortalarono i due preti tifare per Luigino. Ci si sarebbe aspettata una reazione del vescovo di Nola ma nulla accadde. Don Peppino vezzeggiava i suoi avversari agitando la Sacra Bibbia, recitava omelie sempre più salaci contro il potere che pure desiderava e fomentava i suoi fedeli orchestrali a diramare il verbo.


Era il suo stile, il suo modo di incarnare la parola di Dio, il suo disegno di un catto-comunismo che impregnasse il paese, salvo andare in fregola per il potere, il dominio delle menti da plasmare secondo i suoi precetti. Non che non sia un buono, ma aveva un carattere da scorticare, e nessun vescovo lo ha mai portato a miti consigli. Era un uomo libero, ma non conosceva forse la liceità di certi gesti. Ci mancheranno le disfide con Lello Russo con cui c’era una convivenza forzata ma una distanza siderale. Ci mancherà quel prete che al netto delle sue voluttà politiche era un buono e fedele servitore della Chiesa (e dello status simbol di amico dei potenti). A sua insaputa non si è accorto di avere i paramenti.


Diceva Guareschi: “Peppone è duro come un mulo ma non spara alle spalle dei preti che obbediscono agli ordini di Dio”. E' triste la politica senza di lui.



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