Che sia un sogno strozzato da lunghi digiuni di potere di Michele Caiazzo di creare un Pci desueto, messo nelle mani di bravi ragazzi volenterosi e capaci ma molto ideologizzati, è un cruccio che un osservatore della politica locale si è fatto. Mettere in piedi una Comune parigina, un canovaccio di potere assolutorio e autoassolutorio dandogli le sembianze di una Rinascita dei suoi disegni di ragazzo increspato, cresciuto sull’uscio delle Frattocchie romane.
E non si può dire che quei bravi ragazzi non si diano da fare: sono in mezzo alla gente,ragazzi del Miretto col tarlo della politica, un po’ ingenuamente fabbricano avversari laddove trovano sentenze, sono braccianti della politica e viziosi di ideologia e del sospetto come quello delle Mani sulla città vanificato dal Tar. Sono al servizio della cosa pubblica, hanno un ottimo frontman in Antonio Avilio, ex consigliere e sono irrimediabilmente dei comunisti alla francese. Un po’ metalmeccanici e un pò Chiara Ferragni. Un po’ supermercati No logo e un po’ passate di pomodoro imbottigliate a 5 euro al kilo. Spesso danno l’impressione di una Comune parigina: potere al popolo e al diavolo il sistema dei pesi e contrappesi che pure una democrazia vuole. Ma cos’è la Comune?
Il 18 marzo 1871 a Parigi il popolo insorge. Vuole decidere del proprio futuro.
La Francia è reduce della sconfitta militare di Sedan nel corso della guerra con la Prussia. Questa sconfitta provoca la caduta di Napoleone III e la proclamazione della Terza Repubblica. I deputati di Parigi formano un nuovo governo di coalizione guidato da Adolphe Thiers, per evitare che la fine dell’Impero conduca a una rivoluzione democratica. Questo rischio deriva dal fatto che “il popolo” era stato armato dallo stesso governo, che ad agosto aveva deciso di armare l’esercito popolare, la Guardia nazionale, in funzione anti-prussiana: 384.000 uomini divisi in 254 battaglioni si erano dati un’organizzazione autonoma, un Comitato di vigilanza in ognuno dei venti quartieri di Parigi e una rappresentanza unitaria in un Comitato centrale. Sommosse popolari c’erano già state a Parigi dopo le prime sconfitte militari francesi di agosto, e dopo Sedan gli operai avevano occupato il palazzo dell’Assemblea legislativa.
L’armistizio che la Francia firma alle condizioni della Prussia costituisce il momento del crollo dell’autorità politica agli occhi delle classi popolari e della classe media di Parigi. La popolazione parigina dichiara perciò che la città si intesterà il proprio destino. I cittadini sono consapevoli che non saranno rose e fiori, ma sanno anche che per avere una possibilità di futuro occorre prendere su di sé la responsabilità e il governo della città, che si dà regole diverse di lavoro, nuove forme di vita sociale, nuovi assetti scolastici, nuove forme di governo del territorio.
L’accordo con la Prussia viene ratificato il 1° marzo. La Federazione Repubblicana della Guardia Nazionale si insedia in Place de la Cordérie e il 10 marzo si dichiara “baluardo contro ogni tentativo di rovesciare la repubblica”, una repubblica francese a cui dovrà succedere “la repubblica universale senza eserciti permanenti, ma con tutto il popolo armato, senza oppressione, schiavitù e dittature”.
Tutto dura 10 settimane. Poi, il 27 maggio, quell’esperienza finisce nel sangue, con l’esercito del governo di coalizione guidato da Adolphe Thiers che entra e uccide. Ma quella volta, a differenza di prima, detenere il potere non aveva voluto dire stare su una barricata, bensì governare, decidere, legiferare. Bisogna stare attenti all’assemblearismo se la politica non è un gioco d’insiemi, non per tutti, ma il ventaglio onirico di chi ormai è a mani nude e vuole darsi una boccata d’ossigeno tra gli intrallazzi e i conciliaboli di questi giorni frenetici, alla ricerca del vello d’oro da sacrificare sull’altare di un consenso liquido. Gli serve una reductio ad unum: M5S, quel che resta del Pd e Rinascita. Magari con un Del Mastro-bis.
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