E dunque il polo del civismo adulterato dalla presenza di qualche partito (vedi Azione) appare oggi come l’esercito di Serse, una falansteria di sigle e di nomi altisonanti che fanno presagire successo assicurato. Resta da capire fino in fondo chi sarà il candidato sindaco e quali equilibri interni si consolideranno ma é bene non suonare il peana della vittoria quando davanti a se si ha l’incognita dell’avversario ma sopratutto non si è entrati ancora nei gangli dell’opinione pubblica che, svolazzati i voti del Lavoratorio, latitano nell’aere o sono ingessati nella disillusione di chi in questo franoso progetto aveva riposto speranza e rancore, voltando pagina. Il consenso, dunque, non è scontato, nonostante l’elefantiaca formazione schierata che si muove nella cristalleria delicata della sensibilità popolare. È proprio qui che bisogna partire, dalla creazione del consenso.
I modi per creare consenso e coesione (in un gruppo, in un’organizzazione, ma anche in un intero Paese) sono due: affidarsi alla logica amico-nemico, oppure costruire e comunicare un progetto credibile e convincente.
Nel primo caso l’impalcatura del consenso si regge su un messaggio: là fuori c’è un nemico pericoloso, la coesione interna, il consenso al leader, l’adesione a un’idea (magari senza troppo sottilizzare) servono a distinguersi e difendersi da quel nemico.
I vantaggi di questa modalità sono piuttosto evidenti:
Per tutti questi motivi, non sorprende il fatto che gruppi, organizzazioni, anche partiti politici nella fase iniziale del loro ciclo di vita (e nelle fasi in cui il tema del consenso è più rilevante) ricorrano a piene mani alla logica amico-nemico (non credo serva fare esempi).
Molto spesso, addirittura, queste narrazioni individuano il nemico all’interno del proprio sistema (altre parti dell’organizzazione, altre correnti di partito).
La seconda modalità, invece, consiste nel creare coesione attorno ad un progetto, ad un obiettivo, ad un “dover essere” persuasivo e motivante. Si tratta di un processo più lento, probabilmente più solido e inclusivo. Certo, questa modalità sottostà anche a quello che, in un ambito un po’ diverso, si definisce “Il principio del progresso“. Non basta, cioè, stabilire un obiettivo coesivo, si deve anche comunicare costantemente un progresso al fine di mantenere alta la motivazione.
Non serve precisare come l’abilità del leader resta quella di dosare le due logiche, perché se è vero che di logica amico-nemico si può campare per un bel po’, gli effetti collaterali indesiderati non sono da poco:
Infine (ma forse questa è la cosa più importante), le organizzazioni politiche che basano il loro consenso interno soltanto sulla logica amico-nemico spesso implodono in brevissimo tempo, quando il nemico sparisce o perché viene sconfitto definitivamente (infatti, capita di osservare leader che preferiscono “mantenere in vita” un nemico proprio per non dover affrontare il problema della sua scomparsa), oppure perché qualcuno, anche dall’interno, inizia ad insinuare il dubbio che il mostro potrebbe non essere così brutto come lo si dipinge e che, a guardarlo meglio, si tratta più di un avversario che di un nemico.
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