Sarà che sarà figlio di quella socialdemocrazia popolare caratterizzata da un impegno a favore di politiche volte a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali, eliminare l'oppressione dei gruppi sociali svantaggiati e sradicare la povertà, sarà che certi valori gli sono stati diluiti nel latte in famiglia, sarà che è figlio d’arte, sarà la sua tenerezza ombrosa, ma assecondare le esperienze del passato, dare valore agli ultimi, fanno della sua condotta umana e politica una postilla che esce fuori dalla diaristica tradizionale degli uomini di consenso.
La strada è il suo ameno penitenziario, le sue boutade o calembour ben calibrati, il suo banco di mescita antropologica, sono formulazioni comiziali, cattedre di verità di un uomo che ha fatto del mimetismo dell’acquiescenza popolare la sua croce e delizia da caricarsi in groppa col zelo tridentino di chi ha accarezzato un’ambizione, forse la più importante del suo genio pragmatico. Lontano dalle estenuanti cadenze liturgiche della politica locale, essere Mimmo Leone è contemplare una meta radiosa nella quale pochi credono e assaporare l’aspro agrume della riluttanza altrui, figlia di un pregiudizio superbo e altezzoso.
Parafrasi della disillusione è stata a lungo questo concerto di voci differenti che era un centrodestra costruito in vitreo, senza uomini di centrodestra appunto, inchinati forse all’opportunismo di panoramiche sondaggistiche sognanti, ma senza radici né reciproca stima, essenziale per fare una squadra. Uno scavalcamento continuo, negletto, un muro contro muro a chi ne ha di più, slittamenti progressivi fino alla noia, smanie di protagonismo e cerimoniosi clichè che non portano a nulla. Dominare con intelligenza gli avvenimenti non sarebbe bastato, serviva lasciare il tavolo ed anche un po' di vanagloria e dare udienza alla cosa più sensata, accordarsi con chi un progetto solido ce l’ha, piuttosto che darsi ad una vedovanza austera.
E c’è da crederci che questi voli pindarici gli siano costati tanto come uomo e come politico che sogna legittimamente di volare con le proprie ali, lui che brulica di idee e macina consensi tessendo rapporti umani trasversali. I particolari della sua “discesa in campo” erano studiati come figure di passi di danza, ma in politica è così tutto liquido e fluttuante che ci vuole davvero una foggia forte per non sbiadire nel desiderio ottuso.
Chissà se in testa macina pensieri di rabbia: dover fare l’ennesimo sacrificio espiatorio dopo decenni di calpestio dell’aula consiliare. Il tempo non sarà sterile di emozioni per un profilo fa falco giovinetto come lui. Essere Mimmo Leone è crogiolo e fornace al tempo stesso, metallo che ribolle, martello ma anche incudine. La sua gherminella levantina faranno di lui un politico di vaglia.
Essere Mimmo Leone è fedeltà, è saper aspettare, è uno schizzo che riproduce un’idea, è spazio luminoso tra ombre infinite, è segno geometrico della rettitudine. La sua figura flessuosa e le sue movenze frenetiche continueranno ad essere la sua ginnastica spirituale, che sottende una psicologia del profondo, a dispetto che della sua costruita eccentricità ed enigmaticità. Essere Mimmo Leone è la teologia del buonsenso.
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