Non c’era il Covid nè la guerra a funestare l’economia florida e contagiosa di una città che, messe da parte le stigmate operaiste dal proprio Pil interno, aveva trovato nel commercio la sua nuova vocazione, portando sviluppo, attrattiva per i paesi della provincia di Napoli, posti di lavoro e soldi che giravano nel circuito interno. Nemici “invisibili” hanno fatto sobbalzare anni di sacrificio costruiti assieme a politiche di sviluppo favorevoli alla categoria dei commercianti, sopratutto i piccoli-medi commercianti che ben potevano contendersi il mercato a petto nudo della grande distribuzione. È stato come un effetto-domino: commercianti provenienti da ogni parte volevano investire su Pomigliano, città considerata seconda solo a Napoli. Di lì il concentrarsi strepitoso della movida: Pomigliano, non senza fastidiose conseguenze, diventa epicentro dell’accoglienza. Una fiumana di giovani si riversava nelle piazze della città e portava credito e nomea in giro per la Campania.
Non c’era il Covid nè la guerra a funestare l’economia florida e contagiosa di una città che, messe da parte le stigmate operaiste dal proprio Pil interno, aveva trovato nel commercio la sua nuova vocazione, portando sviluppo, attrattiva per i paesi della provincia di Napoli, posti di lavoro e soldi che giravano nel circuito interno. Nemici “invisibili” hanno fatto sobbalzare anni di sacrificio costruiti assieme a politiche di sviluppo favorevoli alla categoria dei commercianti, sopratutto i piccoli-medi commercianti che ben potevano contendersi il mercato a petto nudo della grande distribuzione. È stato come un effetto-domino: commercianti provenienti da ogni parte volevano investire su Pomigliano, città considerata seconda solo a Napoli. Di lì il concentrarsi strepitoso della movida: Pomigliano, non senza fastidiose conseguenze, diventa epicentro dell’accoglienza. Una fiumana di giovani si riversava nelle piazze della città e portava credito e nomea in giro per la Campania.
Poi l’Armageddon del Covid, le chiusure forzate e il rincaro stellare delle materie prime, “senza mai essere supportati dall’amministrazione”, afferma un commerciante arrabbiato. Non è possibile fare una stima delle attività che non hanno retto alla crisi e hanno abbassato la serranda, come dice Ciro Esposito, presidente di Confcommercio Pomigliano. “Passare in rassegna i commercianti in difficoltà è cosa complicata, alcuni nemmeno rispondono per dignità morale e per dignità non chiudono: o tirano a campare o si riempiono di debiti”, magari rivolgendosi agli strozzini.
“È un problema che deve accollarsi la politica, l’astensionismo viene da qui, in Friuli ha votato il 37 per cento, tanto per capirci. Mettici la concorrenza illegale non punita e i favoritismi alla grande distribuzione fatti dall’amministrazione Del Mastro, siamo stati lasciati letteralmente in balia dei nostri destini”, dice Peppe che viene da una famiglia storica di pescivendoli. “Se non avessi mantenuto un prodotto di qualità e non avessi avuto amore per il mio lavoro, avrei già chiuso”, continua.
“Tra le cose che abbiamo chiesto ai candidati è quello di dotarsi di uno sportello per il commercio per registrare dati, numeri, statistiche”, dice Ciro Esposito. “Piuttosto andrei a chiedere a quelli che sono aperti e che non chiudono solo perché non saprebbero che fare. Non chiudono per vergogna sociale”.
E' interessante l'analisi che fa Francesco Marigliano, un tabacchino a pochi passi dal Comune: "I commercianti italiani si sono dimezzati negli ultimi decenni a causa di leggi che hanno favorito la grande distribuzione e le vendite on line a scapito del negozio di vicinato. È un dolore vedere il centro storico di Pomigliano con tantissime serrande chiuse. I piccoli artigiani e i commercianti sono lavoratori che lo Stato e i cittadini dovrebbero sostenere. Nel 2020 c'è stata una catastrofe sanitaria che ha avuto effetti pesanti anche sul commercio di prossimità. La politica aveva promesso una particolare attenzione per rilanciare questo importante settore dell economia ma è stato fatto addirittura meno del periodo pre-pandemia", conclude tra stizza e amarezza, che ha abbozzato un piano di rilancio: "Per il centro storico di Pomigliano è necessario un “piano di recupero”. Un progetto finalizzato non solo ad azioni di sostegno a breve termine per fermare le chiusure post-pandemia, ma soprattutto ad individuare una progettualità da realizzare a medio-lungo termine. È fondamentale creare una cabina di regia, composta dall'Amministratore comunale e dalle associazioni di categoria del commercio, pubblici esercizi ed artigianato di servizio, con le quali si possa stilare un “Patto per il Centro Storico”, che potrebbe prevedere varie iniziative suddistinte in cinque macro settori:
• Restyling: opere di decoro urbano con abbellimento floreale delle piazze e incentivazione per la ristrutturazione degli edifici fatiscenti.
• Accessibilità: creare nuove aree parcheggio prospicienti Corso Vittorio Emanuele.
• Promozione: A)Riattivare la Proloco B) dotare il sito del comune e le pagine social istituzionali di una parte dedicata alle vetrine “e-commerce” c)servizi di supporto in occasione di determinati eventi dedicati e altro.
• Aiuti: Contributi e sostegni alle imprese che investono nel centro storico destinando importanti risorse da individuare dal Bilancio comunale.
• Eventi: organizzazione di eventi in piazza come piccoli concerti e rappresentazioni teatrali.
Lo scopo è quello di avere un impatto concreto e positivo sull’economia delle imprese insediate nel centro storico e, conseguentemente, su tutto l’indotto di riferimento. Lo strumento del Patto per il Centro Storico deve essere inteso come strumento per dare rilancio al centro storico e alla città tutta.
L’Amministrazione comunale con gli assessorati al Commercio e al Bilancio potrebbero intercettare fondi europei dedicati e con l’apporto della Regione studiare ulteriori iniziative di supporto e rilancio.
"È fondamentale, dice Marigliano, "dare una risposta strutturale e importante ai commercianti, agli artigiani che lavorano nel centro e anche ai cittadini che risiedono in questa area, una risposta di valore non solo economico ma anche sociale".
Ed infatti basta farsi 4 passi per il centro storico, zona Carmine, per constatare che nel giro di pochi mesi hanno chiuso di fila ben 15 attività commerciali. In altre zone, gli imprenditori che avevano portato valore aggiunto alla città col loro nome, o hanno ridimensionato l’attività o si sono spostati verso Marigliano o Ottaviano, nuove oasi della movida pare. Tutto è cambiato, a partire dal cliente come annota Marcello Daffinito, pizzaiolo conosciuto: “ Prima della pandemia si aveva una maggiore fidelizzazione da parte dei clienti. Ora sono diventati molto più esigenti. La politica può impegnarsi molto migliorando la segnaletica dei parcheggi specialmente nel centro storico e organizzare feste ed eventi in modo più continuativo”.
E la crisi ha fatto schizzare i rincari che vanno sulle spalle del cliente, ma, dice Dario Ruocco del bar Gandhi, "non è un problema solo di fatturato , ma sono aumentati tantissimi i costi di gestione e quindi i ricavi sono sempre minori". "Anche se siamo stati costretti a fare dei piccoli aumenti", continua Dario, non bastano per recuperare le perdite".
E poi libra un moto di resilienza, tipico di chi ha buttato il sangue in un progetto di vita: "Nonostante tutto non molliamo, ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti, dobbiamo farlo per forza e per dovere nei confronti dei nostri dipendenti e delle loro e nostre famiglie".
Il 14-15 maggio a Pomigliano si vota e Confcommercio ha stilato il suo “elenco delle cose da fare” da sottoporre ai partiti. “Chi sposa il nostro programma, avrà il nostro appoggio” dice Ciro Esposito. “Abbiamo avuto già degli incontri esplorativi tra cui con Valeria Ciarambino e Domenico Leone”, dice Peppe, “loro hanno condiviso i nostri punti ma sono stati più che altro incontri conoscitivi, poca roba. Aspettiamo di conoscere i candidati a sindaco e fare con loro un vero confronto”, conclude Peppe.
Il vero commerciante pomiglianese ha uno scalpo resiliente ma “la realtà dei fatti ci mostra una situazione ben diversa e a tratti allarmante, dice Giovanni Coppola di El Cafè Bar, “soprattutto se si tiene conto dei molti negozi chiusi nel centro storico, ma non solo, e tenendo presente che molti commercianti proseguono per inerzia (in perdita) sperando di cedere le proprie attività che spesso non hanno più un vero valore intrinseco, grazie anche alle liberalizzazioni di Bersani”. E c’è chi cerca di raggirare la concorrenza abbassando i costi, come una meno dieci centesimi o venti per un caffè e un cornetto, come Gigi del Bar Italia. È tranciante e disilluso Giovanni: “La mia sensazione è che Pomigliano stia perdendo quell’appeal che negli ultimi 10 anni aveva portato alla ribalta la "movida", termine che tra l'altro troppo spesso viene utilizzato con accezione negativa, ma non dovrebbe essere affatto così perché la nostra cittadina non è più il paese delle fabbriche ma bensì del Food&Beverage e del terziario”.
È la testimonianza di una trasformazione strutturale della città, orfana di una vocazione, che l’amministrazione precedente ha saputo plasmare aprendo le porte della città alla creatività e all’impresa, che vuol dire rischio ma anche una sfida vinta. La politica ha guidato per mano questo rigoglioso spontaneismo, alla politica ricorrono i commercianti per superare le forche caudine della crisi. Di questa idea é Gennaro Cariulo “Gigione”: “In linea con i trend mondiali e con la congiuntura economica instabilmente negativa, si chiede alle istituzioni una pianificazione economica che "ricada" sul commercio in modo diretto e indiretto.
Un tavolo "permanente" per mediare le esigenze istituzionali e quelle della "strada". Al paradigma non si scappa: investimenti sul commercio, se ben programmati= più sviluppo, più benessere sociale”, sentenzia Cariulo, che a Pomigliano, le sue radici, deve tutto: “Vogliamo essere fieri di appartenere al nostro paese e di creare valore per esso”. E lancia un’idea: “ogni mese vogliamo una manifestazione che produce flussi e quindi economia”. I commercianti chiedono attenzione e stabilità come dice Ugo Micera, che di movida ne capisce: “Il cambio dell’amministrazione ci ha destabilizzato, prima tutti i commercianti, al di là delle sigle, erano “coccolati” dal governo Russo, era un bel momento, ci potevamo interfacciare con la politica e risolvere i problemi che ci riguardavano”, dice quasi malinconico Micera. “In questi due anni e mezzo”, prosegue Micera, “non si è fatto assolutamente nulla, nonostante uscissero articoli su quotidiani importanti che tessevano le lodi dell’amministrazione”. “Cosa è stato fatto per il commercio nel post-Covid?”, si chiede Micera. Pochi eventi che non hanno giovato a nessuno.
“Ben vengano le elezioni con persone di Pomigliano che conoscono il territorio”, dice serioso Micera. Ed è speranzoso: “Siamo ancora una città piena di risorse ed epicentro dell’accoglienza, possiamo riscattarci da questo recente nulla”.
A chiosare le speranze dei commercianti c'è Domenico Casoria, patron dello Speakeasy: "I commercianti non sono abituati a lagnare ed a piangersi addosso. Noi siamo quelli che si asciugano il sudore e lavorano sodo per garantire gli stipendi ai dipendenti, per realizzare progetti e per custodire e tramandare arti e tradizioni. Oggi siamo costretti a lottare per la sopravvivenza, ci siamo già aggrappati a tutte le nostre risorse per restare a galla durante gli ultimi anni di pandemia e ce l’abbiamo fatta, ancora una volta. Ma poi subito la guerra ed i conseguenti folli aumenti dell’energia e delle materie prime. Siamo allo stremo. Gli interventi mitigatori della politica ad ogni livello sono sempre insufficienti e tardivi. Ma noi commercianti siamo sempre ottimisti e sono certo che il commercio di Pomigliano d’Arco tornerà a splendere e che la città sarà nuovamente il salotto della movida ed il cuore dell’ospitalità", conclude Casoria, con una lena emotiva che lascia ben sperare per un nuovo Umanesimo del commercio a Pomigliano.
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