Pomigliano, con le elezioni rispuntano i profeti dell'antimafia
Il rischio concreto è che la vetrina offerta dall’impegno sociale su un tema delicato come questo, si trasformi in una tribuna utilizzata per conferire patenti di legalitá o, peggio, per tirare fuori cartellini rossi, sulla base del rilievo di non si sa quali falli del gioco imprenditoriale, politico, amministrativo, professionale.
Sarebbe bene tenere a mente che il confine tra legalitá e illegalitá non lo tracciano le più o meno dotte discettazioni davanti alle scolaresche. E, non se ne abbiano a male, nemmeno le forze dell’ordine, cui va comunque l’apprezzamento per il lavoro che svolgono. Questo confine lo traccia solo la magistratura giudicante.

Uno spettro si aggira per le strade di Pomigliano, facendosi sentire soprattutto ora che le elezioni comunali si avvicinano.
È quello del moralismo legalitario.
Si tratta di una figura che veste i panni del presenzialismo civico, amando spesso associarsi a figure istituzionali in occasione delle manifestazioni pubbliche, non perdendo occasione per far sentire la propria rampogna, ammantandosi di una competenza acquisita in chissá quale universitá della strada.
Certo è che la camorra, perché questo è il tema di cui tale figura parla, rappresenta uno dei fenomeni criminali peggiori della storia recente italiana. Tuttavia, cosi’ come non basta andare allo stadio per intendersi di calcio, anche per dire qualcosa di sensato su questo tema non basta aver partecipato a qualche marcia.
Sia chiaro, il rispetto per le vittime della criminalitá resta sacrosanto, cosi’ come la solidarietá verso chiunque sia offeso da qualunque azione illegale. Tuttavia, da qui a ergersi a specialista di sociologia della devianza mafiosa ce ne passa parecchio.
Il rischio concreto è che la vetrina offerta dall’impegno sociale su un tema delicato come questo, si trasformi in una tribuna utilizzata per conferire patenti di legalitá o, peggio, per tirare fuori cartellini rossi, sulla base del rilievo di non si sa quali falli del gioco imprenditoriale, politico, amministrativo, professionale.
Sarebbe bene tenere a mente che il confine tra legalitá e illegalitá non lo tracciano le più o meno dotte discettazioni davanti alle scolaresche. E, non se ne abbiano a male, nemmeno le forze dell’ordine, cui va comunque l’apprezzamento per il lavoro che svolgono. Questo confine lo traccia solo la magistratura giudicante.
Se esiste (come esiste) un’etica sociale prima ancora che giuridica, il cui perimetro è delineato del dettato della Carta Costituzionale, che scrive il patto sociale tra i cittadini e tra essi e lo Stato, a maggior ragione coloro i quali, rappresentando le formazioni all’interno delle quali si realizza la vita sociale dell’individuo, si affiancano alle istituzioni, nell’opera di sostegno che queste ultime meritano, tanto più proprio essi dovrebbero misurare le proprie parole. Perché sennò, azzardando indimostrati teoremi legalitari, rischiano di svilire non tanto se stessi, ma il ruolo delle incolpevoli strutture associative in cui militano.
Certo è che nemmeno personaggi di riconosciuto spessore professionale (il pensiero va, tra gli altri, agli autori di un importante saggio sulla camorra, Domenico Airoma e Alfredo Mantovano) si sono mai spinti a teorizzare ricostruzioni circa la consistenza aggiornata del fenomeno camorristico, circa il suo hard core attuale dopo la generale disarticolazione giudiziaria dei clan, piuttosto limitandosi ad indagarne solo il substrato diffuso e gli effetti sociali. Perché proprio chi ha seria cognizione del fenomeno, si guarda bene dal parlarne a sproposito. Ma oggigiorno l’omniscienza è un dato di fatto diffuso, specie negli ambienti che meno hanno studiato.
Senso della misura e consapevolezza dei propri limiti richiedono umiltá. Ma sappiamo che sono tempi difficili, e questa virtù purtroppo non va più tanto di moda.
di Francesco Cristiani
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