C’è un’usanza decennale nella politica pomiglianese, ma non solo, sia a destra che a sinistra, di affaccendarsi con la minuzia di un impiegato statale a comporre le liste dei candidati, muniti di bilancino e delle precedenti prestazioni del prescelto, ancora prima di scegliere su chi puntare come direttore, coalizzatore di questa massa informe di candidati. Vanificati i presupposti dell’appartenza politica, della fedeltà a determinati valori e della stessa volontà del candidato di interpretare la summa ideologica della lista alla quale si appartiene, si procede sia per appartenenza familiare, cercando gente che spacchi le famiglie, specie quelle grandi, le solite talvolta, sia per voti stimati che per promessa elettorale di un beneficio in caso di vittoria.
È una fase totemica: i foglietti furtivi su cui si segnano i nomi valgono assegni bancari, si tengono stretti nelle fodere dei cappotti e si mostrano solo a pochi eletti, per il timore che qualcuno, anche della stessa coalizione, si “freghi” la candidatura alzando il prezzo della promessa.
Si rovistano cento volte i dati delle precedenti amministrative e i nomi di tutte le liste, specie di quelle avversarie, perché un candidato “acquistato” in una lista avversa vale doppio. È un dispendioso lavoro per professionisti della politica: comporre un puzzle di nomi “autorevoli” significa partire con un punto in avanti rispetto alla coalizione opposta. Sono liturgie lente e noiose che vanno avanti da lustri, ma spesso sono il viatico della vittoria.
Infatti si dice che vince chi sa fare le liste. Ma non sempre è così, la geografia del voto si è scompaginata, l’elettorato è fluido e non ha legami di fedeltà con nessuno, tranne rare eccezioni. Anche lo studio delle grandi famiglie spesso non è un gioco matematico: molte di esse si sono sfaldate e tradiscono l’unità di intenti. Spesso sono portatori di istanze spicciole personali e non hanno alcun seme di politica. Ha grande importanza oggi invece puntare prima sul frontman o frontwoman a cui affidare i candidati, perché si scelgono candidati in direzione di un progetto chiarito apriori e attorno al quale può girare l’appeal dei nomi pesanti. Come importante è la fase storica in cui vive la città.
È l’esempio dell’ultimo sindaco Del Mastro, sostenuto da liste modeste, che ha fatto egli stesso valore aggiunto in una fase storica in cui si chiudeva un’era. Ma proprio la sciagurata era Del Mastro potrebbe aprirne un’altra in cui serve un candidato che abbia una visione chiara su dove condurre Pomigliano, dopo l’eclissi della produzione operaia e la vivacità del commercio spenta dal Covid. Come si decide un sindaco? Chi ha più liste o chi ha più idee?
I numeri sono essenziali alla politica, ma lo sono ancora di più i programmi e le scelte strategiche del candidato sindaco come valore aggiunto alla summa delle liste. Partire dalla composizione ossessiva delle liste e sapere solo dopo a chi affidarle oggi è rischioso con un elettorato così fluido e defidelizzato, attento a ciò che sarà della sua città piuttosto che al candidato consigliere col quale bere il caffè. Gli usi e costumi della gente sono cambiati, quelli della politica, specie locale, ancora no.
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