Paolo De Micheli (Pd): "Pd partito oligarca, il potere torni ai militanti"
La candidata alla segreteria del Partito Democratico Paolo De Micheli: "Pd partito oligarca, il potere torni ai militanti"

- On. De Micheli, cosa vuol dire volere un partito solido e di prossimità?
Un partito che torni a vivere tra le persone, immerso nella realtà quotidiana, guardando a quel modello comunale che si è dimostrato efficace e concreto. Dobbiamo essere noi ad andare dalle persone, ad ascoltarle, senza aspettare che siano loro a venire da noi. La prossimità territoriale come modello organizzativo vincente per fare politica. Solido significa: finanziato con il ritorno al finanziamento pubblico, con i circoli aperti, che investe sulla partecipazione e sulla decisione degli iscritti.
- Quali sono i mali del Pd?
Abbiamo perso perché ci siamo persi, il Pd deve tornare a rappresentare la maggioranza del Paese, senza essere la somma delle minoranze. Deve occuparsi, concretamente, di lavoro e diritti sociali, di sanità e istruzione, di ambiente e infrastrutture, con comportamenti che generino una nuova credibilità di rinnovati gruppi dirigenti, modelli decisionali sulle politiche nazionali trasparenti e partecipate. Ci riconosceranno se sapremo rappresentare e risolvere davvero le grandi questioni della modernità.
- Ha detto che non vuole un partito con un modello verticistico. A cosa si riferisce?
Credo fermamente che il compimento della democrazia interna sia la decisione condivisa. Il calo del numero degli iscritti così come degli elettori alle politiche dello scorso settembre confermano come la percezione del partito sia quella di essere in mano a un gruppo ristretto di poche persone, un approccio oligarchico. Il Pd deve tornare a rappresentare il desiderio collettivo di combattere le disuguaglianze in tutte le sue forme e non un luogo in cui si risponde ai bisogni individuali di gruppi dirigenti.
- Qual é il Pd che vorrebbe?
L’epoca del Partito democratico come partito di sistema si può considerare conclusa, nei tempi recenti il senso del dovere nei confronti del Paese per risolvere le emergenze ci ha spesso frenato nella radicalità nelle scelte che avremmo voluto e dovuto realizzare. Un Pd in cui iscritti ed elettori tornino a decidere, ad avere un peso specifico sia nella scelta delle candidate e dei candidati che nello stabilire la linea politica nazionale. Un Pd popolare, mai subalterno, che impone una visione culturale e pragmatica ispirata al nuovo umanesimo.
- Come si riconquistano gli elettori persi?
Tornando ad ascoltare le persone nei luoghi dove vivono e lavorano. La realtà al centro del nostro agire. Come ad esempio nel mondo dei lavori, per i quali abbiamo proposto un nuovo Statuto dei lavoratori in cui diritti come malattia e maternità vanno riconosciuti a tutte le categorie, dove il salario minimo è un diritto universale per combattere il lavoro povero o ancora la sperimentazione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio.
- Intanto quegli elettori sono andati ai 5 stelle. Resta in futuro un interlocutore ideale?
Il Partito democratico deve in primo luogo tornare ad essere egemone, perno centrale di ogni eventuale alleanza di centrosinistra. Solo successivamente si potrà aprire un dialogo con le altre forze politiche senza porsi in una posizione di subalternità. E’ così che il Partito democratico può e deve tornare vincente.
- Cosa sono le primarie ponderate?
Le primarie ponderate sono lo strumento per ridare agli iscritti il potere decisionale che spetta loro. Primarie dove il voto degli iscritti vale doppio rispetto a quello degli elettori, da utilizzare ad esempio per tutte le cariche monocratiche, per la scelta dei parlamentari, ma anche per decidere la linea le politiche a livello nazionale. La democrazia è completa quando alla partecipazione si affianca la decisione.
- Cosa la differenzia dagli altri candidati?
Credo che il Pd debba riaccendere quel principio vitale che ritrovo nelle persone che ho incontrato negli ultimi due mesi girando per il Paese da Palermo a Trieste, toccando oltre 55 province italiane. Mi piace in tal senso considerarmi la “sindacalista degli iscritti”, chi mi conosce e ha seguito il mio lavoro sa che prometto solo ciò che so di poter realizzare. Penso ci sia l’esigenza di una leadership femminile e militante, che conosca profondamente il partito, nel bene e nel male. Su questo tema lavoro per un Partito solido e presente nei territori; Bonaccini per un partito al servizio degli amministratori, la Schlein lo trasformerebbe in un movimento, Cuperlo è invece quello che ha una visione di partito più vicina alla mia.
- “Concretamente” é la road map del suo Pd?
“Concretamente. Prima le persone” è il titolo del mio ultimo libro e anche del documento congressuale. E’ scritto con un punto di vista femminile per far tornare il Pd a essere un partito vincente. Cambiare la classe dirigente è una condizione necessaria ma non sufficiente, occorre modificare processi e comportamenti dentro il Partito democratico, orientati alla decisione e alla lealtà come stile di vita nella casa comune.
- Imputa qualcosa a Letta sulla recente sconfitta elettorale?
Un sostegno acritico all’agenda Draghi, in assenza di una nostra visione del futuro autonoma, che rivendicasse i successi e spiegasse alle persone i compromessi necessari. Inoltre un percorso congressuale poco chiaro, che non ha visto protagonisti gli iscritti del Pd che come sempre non hanno deciso niente, Il risultato, infatti, è un documento transitorio sul quale il partito che verrà dovrà tornare a lavorare. Con Enrico Letta in più occasioni non sono stata tenera, nonostante la profonda amicizia che ci lega.

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