Fa discutere l’approvazione da parte della commissione Giustizia della Camera di qualche giorno fa, del testo sulla maternità surrogata, cd. “Utero in affitto”, proposto da Fratelli d’Italia per rendere la maternità surrogata reato universale, ossia punibile nel nostro paese seppur commesso all’estero.
Divide e separa la pratica dell’utero in affitto, atto d’amore per chi lo sostiene a mercificazione del corpo della donna a vera e propria tratta di bambini per chi lo contesta.
La questione è complessa a parere di scrive, atteso il coacervo di implicazioni giuridiche e non, che da essa derivano e per l’evoluzione dei tempi e le sue rocambolesche trasformazioni.
La surrogazione di maternità è una forma di procreazione assistita, in virtù della quale una donna provvede alla gestazione per conto di una coppia o anche di una sola persona. Tale pratica che può essere gratuita o retribuita, viene formalizzata attraverso un accordo scritto tra gestante e futuri genitori che va a disciplinare le modalità e le conseguenze della gravidanza, le spese mediche nonché l’eventuale compenso. La fecondazione della gestante avviene sia con seme maschile ed ovuli della coppia, sia con semi donati da terzi.
Se in alcuni paesi è prevista solo in forma altruistica cioè gratuita, in altri è disciplinata in entrambe le forme, in Italia la surrogazione di maternità costituisce una pratica medica vietata e punita con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 euro a un milione di euro. Anche la Corte Costituzionale è intervenuta sul tema stigmatizzando nel 2017 che tale pratica costituisce un’offesa per la dignità della donna; la Corte, affermando che la surrogazione di maternità in realtà va a minare nel profondo le relazioni umane, fa da vero e proprio spartiacque all’accesa polemica.
Eppure, la pratica della surrogazione di maternità è antica quanto il mondo, la Bibbia racconta di Agar la schiava e della sua relazione con Abramo voluta da Sara, sua sposa, per dare una discendenza al patriarca, attesa la sua sterilità. Anche il mondo ellenico è ricco di esempi che rinviano alla maternità surrogata, per non parlare della cristianità che con la nascita del divino fanciullo, apre ad altri tipi di nuclei familiari, diversi da quello “tradizionale” composta da madre e padre biologici e la propria discendenza.
L’opinione pubblica è molto divisa, forti le rimostranze della comunità Lgbt in favore della pratica per consentire la realizzazione di una famiglia per chi non ne ha l’opportunità secondo le leggi della natura. Determinate altresì, le considerazioni di conservatori e religiosi, che convengono sul fatto che sia una cosa “contro natura”, e foriera di pericolosi risvolti sul piano prima di tutto economico, dato che foraggerebbe un vero e proprio “mercato di bambini”, provocando anche un ulteriore sfruttamento della donna e del proprio corpo.
Non è possibile insomma tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è lecito e ciò che non lo sarebbe in tale tema: molti gli interrogativi che spontaneamente sorgono. È giusto strappare un neonato dalle braccia della donna che per nove mesi lo ha portato in grembo, recidendo il legame che si viene a creare dalla mescolanza di carne e sangue? È necessario dover procreare a tutti i costi anche se in forma indiretta? Quali possono essere i risvolti, a livello inconscio, sulla psiche del nascituro? E quale diritto prevale, quello della coppia desiderosa di avere un figlio a tutti i costi o quello di una nuova vita che non chiede di essere messa al mondo per forza?
Questi e molti altri dubbi costellano il cielo dei perché e dei forse, coinvolgendo nel calderone anche il delicato rapporto tra genitori e figli, ad oggi contraddistinto da un criterio quantitativo più che qualitativo: possibili e gravi le ripercussioni per gli adulti del domani chiamati a rispondere a più domande e rispetto ad un’identità generazionale da mantenere salda ed integra.
di Argia Di Donato
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