On. Marco Follini, chi era antropologicamente il democristiano: quali vezzi e virtù aveva?
I democristiani erano tanti e quindi c’erano anche tanti vizi, però c’era una cultura comune e cioè la capacità di ascoltare il prossimo che fosse un elettore democristiano o un militante di altra parte politica, che fosse a favore o che fosse contro. Si possono dare molti caratteri all’esperienza democristiana, ma se debbo trovarne uno che ne spieghi gli altri direi proprio la capacità di ascolto.
Cos’era la Dc nell’immaginario collettivo e cos’era la Dc nelle istituzioni?
Nell’immaginario collettivo è stata, specie negli ultimi anni, vissuta come un blocco di potere, era il partito dominante e quindi era oggetto di fiducia da parte di chi la votavano ma anche di diffidenza di chi ha voluto sperimentare strade diverse. Il ricordo della Dc ancora oggi è molto legato all’insofferenza verso i democristiani. Il giudizio storico dovrà attendere qualche anno per raffreddarsi e consolidarsi. Tuttavia è stato un partito che ha coinciso con un periodo di crescita un po' tumultuosa e disordinata ma molto importante nella vita del Paese.
Se si pensa alla DC la mente va subito a personaggi di grande levatura come Andreotti e Moro. Quanto erano antitetici?
Erano molto diversi, peraltro non si amavano così tanto, avevano fatto insieme l’esperienza della FUCI. Nella Dc Moro ha iniziato sotto l’egida di Dossetti, Andreotti con De Gasperi, per molti anni si erano dati battaglia nello stile morbido tipico democristiano. Andreotti era più pragmatico,Moro aveva un tratto di profonda identità ideologica. Erano caratterialmente agli antipodi, però nei partiti di quella stagione le persone si abituavano a convivere e a trovare del buono anche tra i loro avversari interni, una caratteristica che col senno di poi non avremmo dovuto disperdere.
La Balena Bianca era popolata da personaggi emblematici. Chi ricorda con rispetto?
La Democrazia cristiana aveva una grande quantità di leaders importanti ed ingombranti, ricordo Fanfani e Moro, protagonisti principali poi De Gasperi, e tutta la leva della costituente, la classe dirigente che si andava formando. In seconda fila, c’erano molti dirigenti che hanno avuto un ruolo storico importante nella vita del paese. Tuttavia io insisto molto sul fatto che la forza della Dc erano le quarte, le quinte e le seste file, un fitto reticolo di dirigenti, amministratori, parlamentari, assessori, segretari di sezione: un tessuto molto ricco e radicato, gente che aveva competenza sugli argomenti, erano espressioni di comunità locali che decretavano il loro successo e la loro esclusione.
Lei descrive il rapporto tra Dc e Pci come “un’insieme di avversione e sottaciuta complicità” e come “una quasi benevola inimicizia”. Come si riverberava nel paese reale questa falsa contiguità?
Entrambe discendevano dall’assemblea costituente, avevano salvaguardato il principio che sulle regole si doveva decidere insieme. Questo patto, che è all’origine della vita repubblicana, aveva creato una sorta di complicità. Tuttavia, al di questa, c’era poi un conflitto ideale molto acuto perché la Dc era l’Europa, l’atlantismo, il Pci viveva nel mito della Rivoluzione sovietica; c’era una diversa idea della democrazia, secondo noi democristiani i comunisti per un pungo periodo sono stati tutt’altro che democratici. L’avvicinamento non poteva essere né troppo disinvolto né troppo affrettato, c’era rispetto, c’era la convinzione che bisogna vivere sotto il tetto delle stesse istituzioni, e c’era anche la consapevolezza di un antagonismo che era meno acuto, meno stridente di quanto non fosse tra gli elettori ma era tuttavia un’antagonismo di vita ideale che non merita di essere cancellato dalla leggenda del consociativismo che è appunto una leggenda. Dc e Pci si combattevano ma sapevano che c’erano frangenti nei quali bisognava andare d’accordo o almeno trovare il modo in cui il loro disaccordo non fosse troppo rovinoso.
Riferimenti culturali come democristianeria e comunismo sono saltati. Ad oggi nascono partiti senza identità o ce ne sono già e non ne trovano una, come il Pd.
Perché nascano nuove formazione politiche occorre cambiare le regole e le consuetudini. E’ ovvio che in una politica così priva di ancoraggi al territorio non si va lontani. La politica ha bisogno di alimentarsi del rapporto con gli elettori, della quotidianità, dei legami. La politica ha bisogno di ritrovare dei luoghi in cui le persone s’incontrino anche fisicamente, Un po' il venir meno di quella classe dirigente che era più attrezzata a questo e un po' le illusioni seminate dalla rete, dall’idea che la virtualità posso prendere il posto del contatto diretto, hanno creato una condizione che rende difficile immaginare nuove iniziative politiche, perché esse nascono dalla consuetudine che si è persa.
Oggi dove si formano le nuove classi dirigenti?
Non si formano e il risultato è sotto gli occhi di tutti, occorre riaprire le scuole-partito, le sezioni non per tornare al passato, ma per ricreare un contesto di quotidianità condivisa che è alla base dell’agire politico.
Quali sono stati i suoi principali riferimenti nella Dc? Quali insegnamenti preziosi ha ricevuto?
L’influenza di Aldo Moro per me è stata preziosa perché è stato un insegnamento dedicato all’ascolto, alla sensibilità, alla curiosità verso il prossimo. Moro era uno straordinario ascoltatore. I colloqui che ho avuto con lui non erano mai dei monologhi erano piuttosto degli interrogatori, a lui ogni persona diceva qualcosa. Dopodichè quello che mi ha colpito in quegli anni è come una classe dirigente che era al culmine del potere, sapeva interrogarsi con curiosità sull’universo giovanile.
Secondo lei la Dc è stata “picconata” da Tangentopoli?
No, la Dc è stata logorata da se stessa e da un’incapacità di risolvere il problema principale di quegli anni, cioè non poteva darsi a lungo andare uno schema secondo cui la Dc stesse sempre al potere e il fronte sinistro all’opposizione, Occorreva realizzare quello che si dice il compimento della democrazia, sbloccare un meccanismo che imperniato così. Questo processo lo hanno realizzato, a loro modo, Berlusconi e Prodi. Era un processo che andava realizzato dalla Dc, non essere riusciti in questa impresa ha determinato la fine di un po' di tutti, a partire dai democristiani.
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