di Mario Sorrentino (già dirigente scolastico)
La vicenda del ragazzino suicida di Senigallia è talmente drammatica che si fa davvero fatica a scrivere e a commentare.Possiamo solo dire che in ogni caso per esprimersi sulla questione sarebbe necessario avere qualche dato in più e conoscere più a fondo il contesto e i contorni di quanto accaduto.
Ogni suicidio è un caso a sé e decifrarne le ragioni è lavoro che possono e devono fare solo gli esperti. Ora, sul fatto che il bullismo vada eradicato non ci sono dubbi, così come non ci sono dubbi che la cultura della violenza e la pratica dell’insulto e del dileggio vadano contrastate.Ciò che non è chiaro è invece come si possa concretamente intervenire. Secondo quanto detto più volte dal Ministro le nuove regole sul voto di condotta e le Linee Guida sulla educazione civica dovrebbe servire a ripristinare quel senso di ordine e rispetto che “il Sessantotto” aveva spazzato via.Francamente ci sembra una lettura molto semplicistica della realtà: come ben sanno gli uomini che sono stati ragazzi negli anni 60 e 70, bullismo e nonnismo erano pratiche pressoché normali nelle caserme italiane e molto spesso erano persino tollerate dagli Ufficiali.
Diciamo questo per significare che pensare di sconfiggere il bullismo fra le pareti scolastiche è una pura illusione. D’altronde quante volte, in questi anni, abbiamo dovuto sentire o leggere i commenti di genitori che parlando di comportamenti violenti (ma anche assurdi) di ragazzini di 12-13 anni hanno usato termini come “ragazzata” o “bravata”?Lasciamo stare i genitori (anche illustri) che difendono il pargolo di famiglia accusato di stupro dicendo che tutto sommato la ragazza era vestita in modo provocante, ma ci è toccato persino leggere di ragazzi che hanno scaraventato da un ponte 4 gattini malconci con genitori che hanno minimizzato (“veramente i poveri micetti erano già morti”).Vogliamo dire che il bullismo sta fuori della scuola, nelle famiglie e in altri contesti sociali.E non sempre è collegato a situazioni di disagio sociale, tanto che le cronache sono piene di “rampolli” di “buona famiglia” che finiscono davanti al giudice per comportamenti anche gravi, compresi i reati contro la persona.
Allora, quella di sconfiggere la cultura della violenza e del dileggio usando il 5 in condotta o, peggio ancora, con una “tesina” sul significato dell’articolo X della Costituzione è davvero una idea da “anime belle”.E' del tutto evidente che la famiglia ha una responsabilità incancellabile, da abbinare a quella dell’intero insieme collettivo.Il bullismo è il prodotto dei messaggi diseducativi che arrivano dalla società.Se la famiglia è il contesto che forgia il soggetto e l’individuo, il web è il grande amplificatore che oggi viene utilizzato con enorme disinvoltura dagli adolescenti e preadolescenti.Il tema centrale è l’assuefazione al web, ad internet, ai social che provocano una stortura nel loro stesso utilizzo, spingendo i ragazzi a fare di tutto (esasperando i propri comportamenti) per rincorrere una maggiore visibilità.I nativi digitali hanno, come in ogni epoca, l’obiettivo di mostrare la propria esistenza tramite azioni eclatanti, di cui non conoscono la misura.
Mostrare la propria azione nella realtà è quanto di più tipico e normale possa accadere nelle fasce di età in cui il bullismo ha esordio. Orbene,alla luce di quanto sopra, la scuola, in quanto apparato di socializzazione, non può ignorare tale disagio e deve essere in grado di affrontarlo dal punto di vista psicologico, sociologico e pedagogico.La scuola deve riappropriarsi del suo ruolo, e quindi della sua autorevolezza. Il bullismo endo-scolastico segna il fallimento della scuola.
E fa riflettere che si sia progettato di affidare ad un automatismo la concessione della cittadinanza, il cosiddetto “ius soli ”. Quella stessa scuola che non è in grado di formare le coscienze, di produrre integrazione, di fare formazione civica, dovrebbe poi diventare la nuova fabbrica della cittadinanza, quasi che l’avere seguito un ciclo continuativo di istruzione scolastica possa essere “ipso facto” garanzia di fedeltà repubblicana.
È assurdo.E' chiaro,poi, che la famiglia deve connettersi alla funzione pedagogica della scuola, supportandola, e non già delegittimandola, schierandosi acriticamente con i propri figli quando gli stessi vengono ad essere rimproverati o puniti.La connessione tra genitori e scuola integra uno snodo vitale nell’incontro tra individuo e Stato, e con tale consapevolezza deve essere realizzato questo incontro.A tal fine,è necessario organizzare programmi di prevenzione nelle scuole, che promuovono l’empatia, la gestione dell’ira e la comunicazione positiva.Interventi psicologici individuali per bulli e vittime, come la terapia cognitivo-comportamentale, possono essere utili nel modificare i comportamenti e affrontare le cause sottostanti.
Affrontare il bullismo, pertanto, richiede un approccio multifattoriale che coinvolga genitori, insegnanti, professionisti della salute mentale e la società nel suo complesso. Gli interventi psicologici possono concentrarsi sulla sensibilizzazione, sull’educazione emotiva, sull’insegnamento delle abilità sociali e sull’implementazione di strategie anti-bullismo nelle istituzioni scolastiche e comunitarie.La prevenzione del bullismo dovrebbe iniziare precocemente, con programmi di sensibilizzazione che promuovono il rispetto, la tolleranza e l’inclusione. Inoltre, è essenziale fornire sostegno alle vittime e alle famiglie colpite dal bullismo, offrendo loro risorse e un ambiente sicuro in cui esprimere le proprie esperienze.
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