sTRUtto & parruCCO
Ideata e a cura di Marianna Marra
Rubrica emozionale a 360 gradi
Make-up Cucina Styling
Benvenuti e bentrovati su sTRUtto & parruCCO.
Ospite della mia rubrica, per la seconda parte dell’intervista,
(clicca qui per la prima parte dell'intervista) ritorna Sabrina Musco. Bentrovata Sabrina.
Mi piacerebbe riprendere il
fil rouge, di questo nostro incontro, chiedendoti innanzitutto:
- Come stai?
Bene grazie, in una fase caratterizzata da molti cambiamenti.
- La nostra è stata letteralmente un’intervista in itinere. Ci siamo sentite, la prima volta, quando eri in procinto di partire con Nico (tuo marito) per un imminente viaggio tra la Svezia e la Lapponia, e anche questa volta, ritagliandoci spazio tra un volo e l’altro. Ci siamo lasciati, nella prima parte della nostra intervista, promettendo ai nostri lettori di farci raccontare direttamente da te, al tuo rientro in Italia, che emozione è stata quella di riuscire a realizzare, finalmente, uno dei tuoi sogni: quello di vedere l’aurora boreale.
Ti va di condiverla con noi?
Credo molto nel fatto che ogni cosa arrivi (o non arrivi) e lo faccia, sempre, al momento giusto, quello in cui siamo pronti a ricevere. L’ho cercata, per anni e più volte, l’aurora al Nord del mondo, e l’ho vista per la prima volta, in realtà, durante un volo che sorvolava la Groenlandia nella tratta Tokyo - Parigi. Ricordo che fu un momento “wow”, mi parve essere un segno, qualcosa di bello, un momento tutto mio. Poterla poi vedere durante l’ultimo viaggio proprio in Lapponia, dove l’ho sempre cercata, e questa volta, insieme a mio marito, e di fatto ogni sera, è stato ancora più emozionante, incredibile. Sono pochi i viaggi in cui ho la possibilità di condividere l’esperienza con qualcuno vicino a me, e quando accade qualcosa di così raro, come lo è riuscire a vedere l’aurora boreale, diventa davvero un momento magico. Mio marito mi aveva detto: "Sono sicuro che stavolta c’è", per lui è stato il primo viaggio al Nord del mondo e così è stato.
- So che hai conosciuto molto da vicino le “famose” renne di Babbo Natale. Ci parleresti della curiosa iniziativa, che ha visto protagonisti proprio gli allevatori di renne, e della loro intuizione di marketing, pensata affinché potessero continuare ad accudire i propri animali, nel rispetto dei loro diritti, nonostante gli alti costi di allevamento?
Con piacere. La popolazione della Lapponia è quella dei Sami; questa ha sempre vissuto, il nord del mondo, come nomade allevando renne, e spostandosi, alla ricerca di luoghi in cui gli animali potessero trovare cibo.
Tutto questo fino agli anni 50 quando iniziò a stabilizzarsi, e organizzarsi, abbandonando la vita nomade. La realtà, che ho potuto conoscere, è a conduzione familiare. Anni fa, per sostenere i costi dell’alimentazione industriale delle renne (essendo questi molto elevati), gli allevatori pensarono di finanziare il procedimento beneficiando degli introiti provenienti dal turismo. Iniziarono creando degli accordi, con i principali hotel, offrendo escursioni che permettessero ai turisti di visitare ed osservare le renne da vicino, il tutto fatto, sempre, nel rispetto degli animali e dei luoghi. Negli anni hanno saputo ampliare l’offerta turistica offrendo, inoltre, alloggi autentici e ristorazione. Mi piace sempre approfondire le storie delle persone che abitano i luoghi che visito.
- Abbiamo anche accennato, nella precedente intervista, al tuo fare FIKA. Ci descriveresti cosa significa fare FIKA?
Sono consapevole che la parola potrebbe confondere, ma in realtà, trattasi di un momento tutto svedese fatto di pausa e disconnessione; è simile alla sosta del caffè italiano, ma non si consuma di sfuggita al bar come spesso capita a noi, piuttosto è un momento che oserei definire “dilatato” in cui ci si ferma, quasi sempre con una bevanda calda, accompagnata da qualcosa di dolce da mangiare in compagnia di qualcuno con cui condividere il proprio tempo, e soprattutto, per lungo tempo. E’ una sorta di “sospensione” in cui “si riprende fiato” durante la giornata, e ha la prerogativa di essere, irrinunciabilmente, slow; se non è slow non può essere definita Fika. Quello di fare Fika è un concetto che amo moltissimo.
- Abbiamo iniziato ad aprire le caselle del calendario dell’avvento. Chi ti segue sa che hai una passione smodata per il Natale e per il collezionare addobbi natalizi provenienti da ogni parte del mondo.Da dove nasce questa passione?
Credo affondi le sue radici nella mia infanzia. Ho un ricordo bellissimo del Natale, a casa, a ritmo lento. Quando si chiudeva la scuola, ero solita decorare l’albero con la mia famiglia, guardavo film di Natale e lo facevo accanto al fuoco scoppiettante. Crescendo questo legame non si è per nulla allentato complice, anche, il lavoro dei miei genitori che avevano una cartoleria di articoli da regalo e gadget, e il periodo Natalizio rappresentava, per il commercio, uno dei momenti più fiorenti dell’anno. Tutta la mia famiglia, già da inizio novembre, era impegnata nel negozio a prezzare e organizzare decorazioni per la vendita e noi tutti eravamo ricoperti di glitter, da capo a piedi, per due mesi. Proprio per questo motivo l’albero, a casa mia, lo si faceva i primi di novembre per essere certi di poterlo fare, con la dovuta calma, prima che l’attenzione fosse completamente catturata dall’attività commerciale. Così, ancora oggi, amo preparare l’albero con grande anticipo perché mi piace concedermi tutto il tempo per guardarlo.
- Decorare l’albero è, a mio avviso, un gesto molto intimo che rispecchia la personalità di chi lo addobba, o quantomeno, la stagione di vita che attraversa.Che fattezze ha l’albero di Natale di Sabrina Musco? In che cosa ti rispecchia? E se è cambiato nel tempo, in che cosa è cambiato?
Il mio albero deve essere alto, molto alto e ricco di luce, quello che mi affascina di più delle decorazioni sono proprio le luci. È importante che sia alto e magico. Negli anni è cambiato tantissimo, sono passata da alberi pieni di decorazioni a una ricerca sempre più minimal ed essenziale, quanto più naturale possibile. Per rispondere alla tua domanda, sì è cambiata molto, nel tempo, sia la ricerca che lo stile dei miei addobbi.
- La decorazione che hai collezionato e ami di più da dove proviene e cosa rappresenta per te?
Una delle decorazioni che amo di più viene dalle Cotswolds, una catena collinare che dista circa un’ora, o poco più da Londra. Designata come Area di straordinaria bellezza (AONB: Area of Outstanding Natural Beauty) dal 1966, le Cotswolds ospitano alcuni dei giardini più suggestivi di Inghilterra, ma anche, i villaggi più affascinanti della campagna Inglese. Qui spicca, tra gli altri, Chipping Campden, uno dei villaggi più famosi della zona. Questo villaggio delimita l’inizio del Cotswold Way, un percorso percorribile a piedi, attraverso la natura e i villaggi delle Cotswolds e che culmina a Bath. Chipping Campden era conosciuto per i suoi mercati, e rinomato, per il commercio della lana. Anche nei negozi si trovano solo prodotti tipici della zona. È qui che ho comprato un topolino fatto di tessuto (la mia decorazione preferita). I topolini, infatti, mi fanno pensare, da sempre, ai cartoni di Natale e in più, negli anni, mi sono appassionata alle decorazioni in tessuto e in legno. Le Cotswolds, per me, rappresentano l’atmosfera cozy di cottage e coperte che associo al Natale.
- Sei una travel writer e come abbiamo, in parte, visto per lavoro hai soggiornato, e soggiorni tutt’ora, in diverse strutture turistiche di ricezione sia in Italia che in altri luoghi nel mondo. Parliamo di turismo e disabilità. Secondo i dati ISTAT in Italia i portatori di disabilità sono circa 13 milioni. Per chi volesse approfondire il tema (ricordiamo I riferimenti normativi che regolano l’accessibilità delle strutture turistiche e introducono il concetto di visitabilità in Italia: il Decreto Ministeriale 236/1989 la Legge 104/1992 – art. 24 “Eliminazione o superamento delle barriere architettoniche” e L’articolo 5 del Decreto 236/89 in riferimento alle strutture ricettive). Hai riscontrato differenze, in termini di agibilità, per i portatori di disabilità, nelle strutture turistiche italiane rispetto a quelle ubicate in altri paesi?
In tanti luoghi del mondo, soprattutto quando mi trovo in luoghi ancora molto spartani e lontani dal genere di comodità, a cui siamo abituati, mi rendo conto che il viaggio, purtroppo, non è accessibile a tutti e non lo è allo stesso modo. Penso semplicemente a un paese come le Filippine che non consente, in tanti luoghi, la possibilità di spostamenti comodi (spesso ci si sposta in Tuktuk e immagino le difficoltà che si possano avere in caso di una sedia a rotelle) così come per tantissime altre strutture in paesi in via di sviluppo. Purtroppo, nonostante l’Italia sia un paese sviluppato, questa attenzione non è capillare, ma negli anni, ho riscontrato comunque un netto miglioramento per ciò che riguarda ristoranti e strutture ricettive.
- Ritornando a ciò, che nella precedente intervista, hai detto essere la cosa che ti piace di più ovvero: “L’utilizzo del social come mezzo”, vorrei cogliere l’occasione per apportare, insieme, un piccolo contributo che sia non soltanto parlato bensì pratico. Considerando il grande seguito che hai, la tua voce potrebbe diventare manifesto, grido, e perché no, magari anche ausilio non solo per le tante persone che già ti seguono (più di 150.000 follower su Instagram), ma anche, per tutte le altre che potrebbero decidere, magari anche a cagione di ciò, di seguirti. L’accoglienza, l’agibilità e la vivibilità per legge, dovrebbero essere garantite a tutti, ma purtroppo, sono ancora troppe le strutture che presentano barriere architettoniche impedendo, di fatto, di poter godere a pieno di un diritto. Potresti essere, probabilmente, una delle prime, o quantomeno, una tra le poche giovani blogger a farlo. Ti piacerebbe, aggiungere, nel tuo blog e/o sul tuo canale Instagram, una sezione dedicata che si occupi, nello specifico, delle strutture turistiche di ricezione che hanno aderito ai criteri di accoglienza, visitabilità e vivibilità per i portatori di disabilità?
Ti andrebbe di prendere con noi questo impegno di civiltà?
Assolutamente sì, mi farebbe molto piacere. Il viaggio più che mai dovrebbe essere qualcosa di inclusivo che permetta a tutti di avere le stesse possibilità, e mi rendo conto, che in alcuni luoghi del mondo (a volte anche in Italia) non è così agevole.
- “L’Italia è ancora un paese poco inclusivo, questo è ciò che si evince dai dati raccolti in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità. In Europa un disabile su 3 è a rischio povertà o esclusione sociale. Nel nostro paese il 17% di questi ha subito violenze o abusi e soltanto il 7% riesce a completare gli studi. Solo il 32,5% di persone con disabilità in età lavorativa ha un impiego”. Ti piacerebbe dare un’opportunità lavorativa a un disabile? In che cosa un portatore di disabilità potrebbe apportare, nel tuo lavoro, un valido contributo?
Certo, qualora ci fossero opportunità lavorative che potrei offrire. Non c’è una distinzione fra disabile e non in ciò che faccio, sarebbe un valido contributo a prescindere.
- Sei anche una content Creator, e come tale, ti sarà capitato di prendere visione dei numerosi Creator che espongono bambini nei loro contenuti. A proposito dei diritti dei bambini: vorrei parlare con te di sharenting. Per sharenting si intende la costante condivisione, on line, da parte dei genitori di contenuti che riguardano i propri figli. Attualmente in Italia non esiste una legge dedicata, ma si ritiene che spetti al genitore/tutore del bambino operare scelte sensate che ne salvaguardino il benessere psicofisico. Non mancano però sentenze di condanna, a carico di alcuni genitori, per un uso irresponsabile dell'immagine dei loro figli a seguito di denuncia di questi stessi. Non si fa solo eccessiva mostra di minori sui social, ma spesso, con la loro esposizione si guadagna. Cosa ne pensi in merito? Sei favorevole o sfavorevole a questa pratica?
Non ho figli quindi, in virtù di questo, non so dire, al 100% , come mi comporterei se ne avessi, ma credo che ci sia sempre del giusto nel mezzo. Non sono sicuramente favorevole a un’eccessiva esposizione ma non giudico, e non credo ci sia nulla di male, nel racconto di qualche dettaglio, di tanto in tanto, della propria quotidianità. Da figlia non so se avrei voluto che ogni istante della mia vita fosse online disponibile per sempre, ma se ci fosse stato qualche video o foto non mi avrebbe dato, ad oggi, nessun fastidio.
- Ti chiedo: pensi che questo fenomeno possa essere il frutto di un mondo del lavoro, che risultando scarsamente adeguato a supportare economicamente le famiglie, spinge verso un’autocrazia di queste stesse?
Credo che non ci sia una sola risposta. Penso che possano esserci genitori, che per diletto, abbiano iniziato a condividere i propri figli avendo un seguito e iniziando a monetizzare senza neanche averlo pianificato, e chi invece, punta molto su questo aspetto. Credo anche che poi ci sia stata tanta emulazione, un poco come quando noi abbiamo scoperto il mondo del blogging americano, e abbiamo incominciato a creare contenuti in Italia tutto questo però, ovviamente, spostato su una persona che non sei tu, ma un figlio, che probabilmente, non ha scelto di essere postato in ogni suo momento. Nella diffusione di qualche racconto o contenuto non ci vedo nulla di male, su un progetto impostato, solo sulla commercializzazione dell’identità del figlio, la situazione si complica perché non stai decidendo per la tua immagine ma per quella di qualcun altro.
- E/o potrebbe essere, anche, lo specchio di un cambiamento generazionale (e quindi del cambiamento del rapporto che intercorre tra genitore e figlio) dove il figlio viene, impropriamente, inteso come estensione del sé genitoriale e non persona a sé stante?
Non credo. Credo che ci siano tantissimi cambiamenti in un’epoca in cui moltissime cose non sono regolamentate e tutto è ancora in fase ‘sperimentale’. Credo dovrebbero esserci, sicuramente, delle regole che riescano a tutelare, e senza dubbio, più informazione anche in base all’impatto che l’esposizione sui social possa avere sui minori una volta adulti. Credo che crescere, al tempo dei social network, non sia così semplice.
- Credi sia necessario meglio regolamentare la privacy dei minori sui social?
Credo di sì che sia necessario iniziare a regolamentare e a fornire anche informazioni, come accennavo prima, sull’impatto che il fenomeno può avere sulle persone. Non ci sono ancora tantissimi adolescenti che sono stati sempre esposti sui social e che possono raccontarci, da adulti, come hanno vissuto quei momenti.
- Abbiamo accennato ai viaggi al femminile, che da qualche tempo, organizzi.
Quanto è difficile tenere insieme più donne?
La verità? Più semplice di quanto si possa immaginare, finora si sono sempre creati feeling molto forti e sin dal primo momento.
- Su cosa fanno più fatica le donne a stare insieme?
Credo che la circostanza del viaggio concorra a estremizzare tutto, così come riesca a creare, parallelamente, una maggiore predisposizione alla tolleranza perché il bisogno di poterci affidare diviene un sentire comune per poter vivere con serenità cose nuove; proprio per questo, finora, non ho avuto la percezione di momenti difficili di "convivenza"
- Su cosa, invece, risultano più coese?
Forse proprio perché è un target di persone che mi sceglie, spesso, le persone dei gruppi sono affini a me, e anche se possono avere alcune caratteristiche opposte, si riescono a creare sempre dei bei gruppi coesi. Inizialmente mi spaventava partire con ragazze sconosciute e mi chiedevo: "E se qualcosa dovesse andare storto?" La verità è che le donne, in viaggio, sono davvero molto unite in tutto e ciascuna, qualora ne senta il bisogno, può ritagliarsi momenti fatti di spazi propri.
- Il ricordo più bello che hai di questi viaggi al femminile?
La sintonia che riesce a creasi con un gruppo di sconosciute e poi i racconti, che spesso durante le cene, vengono fatti di esperienze personali e profonde. Si crea una vera e propria magia, almeno per me.
- Sei laureata in Scienze della moda e del costume. Sempre a proposito di moda: secondo uno studio pare che sulla “durabilità” nel tempo dei capi intervengano principalmente due fattori. Se il primo è dato dalla “durabilità effettiva” (intesa come il tempo in cui un capo è oggettivamente indossabile in termini di usura), l’altro fattore pare risiedere in quella che viene definita come “durabilità emotiva” (ovvero per quanto tempo il capo resti desiderabile da chi lo indossa). Questo quadro di insieme ci fornisce dati di desiderabilità emotiva piuttosto bassi, che se messi a confronto con i dati disponibili sull’ecoansia, fanno emergere come, nonostante siano proprio le nuovissime generazioni quelle che maggiormente soffrono di ecoansia, nel contempo, siano sempre queste ultime le più inclini agli sprechi essendo le maggiori vittime di questa scarsa durabilità emotiva. Come possiamo, secondo te, aiutare i giovani a gestire una pressione sociale, che sovrastimolandoli, li indirizza verso quello che è, di fatto, uno shopping scriteriato per riuscire a contenere questo disagio emotivo, e di conseguenza, anche il contenimento degli sprechi salvaguardando così sia la salute mentale che quella ambientale?
Bisogna imparare a dare un valore diverso a ciò che acquistiamo, e al motivo, per il quale scegliamo di acquistare qualcosa. Da giovanissima credo di essere stata io stessa vittima della moda e delle tendenze; ora sono più focalizzata sulla ricerca della mia identità e di capi e/o accessori che riescano a rifletterla e comunicarla, e quindi, scelgo con attenzione. Quando trovo qualcosa che mi rispecchia pienamente, che sia in linea con la mia personalità e con il mio stile, mi piace indossarlo per molto tempo. Credo che dovremmo puntare, sempre più, sull’idea di identità personale piuttosto che sui trend ma immagino che sia, quasi impossibile, a livello commerciale.
- Il second hand potrebbe essere una scelta più sostenibile?
Io sono una grande fan del second hand, lo sono da sempre. Mi piace trovare il capo perfetto nei mercati ma anche farlo sul web attraverso le applicazioni. Percepisco la scelta dell’abito come “la ricerca di un tesoro da scovare” e proprio così facendo ho “incontrato” alcuni tra i miei abiti preferiti. Credo che il valore che diamo a un capo e il tempo in cui amiamo vederlo e indossarlo è, direttamente proporzionale, all’impegno che impieghiamo nel cercarlo e nello sceglierlo. Quando mi è capitato di fare qualche acquisto online, distratto e compulsivo, mi sono resa conto di come siano stati, proprio quelli, i primi capi di cui non sentivo più la necessità. Quindi per me sì, il second hand potrebbe essere una scelta più sostenibile proprio perché ponderata e lenta.
- Nelson Mandela diceva: “Non c'è niente come tornare in un luogo che non è cambiato, per rendersi conto di come sei cambiato”. Quando sei tornata a vivere a Telese, nei luoghi della tua infanzia, in cosa ti sei accorta di essere cambiata?
In tantissime cose. Mi sono accorta anche di vedere cose, che sono rimaste immutate, con occhi nuovi perché sono cambiata io. Da bambina mi sembrava fosse tutto monotono e ripetitivo, ma quando sei sempre in movimento, quanto è bello poter avere delle piccole routines che siano rassicuranti. È bello anche, che nel bar sotto casa, sappiano chi sei e cosa bevi oppure cosa mangi a colazione; tutto ciò che una volta mi sembrava lento e noioso ora mi sembra lento in modo appagante come il fermarmi, anche, ad assaporare dettagli, che in città, mi sembrava di perdermi. Quindi direi che sì, sono cambiata molto ed è cambiata molto la mia scala di valori.
- Da qualche tempo è presente sul mercato una tua linea di gioielli di cui sei co fondatrice insieme a tuo fratello Pierluigi. Ti va di raccontarci meglio come è nata Arkane, qual è la sua filosofia e a chi si rivolge?
Arkane unisce insieme diversi concetti nei quali credo tanto, Il viaggio inteso come scoperta e libertà, il potere del linguaggio non scritto dei simboli, che più che mai, ritrovo nei viaggi e anche in forma scaramantica e poi la mia ricerca personale, di offrire accessori durevoli e di qualità che avessero un costo contenuto. Non volevo un prodotto che fosse usa e getta, se vuoi indossi un gioiello Arkane per anni, può diventare il tuo talismano. E’ nato così, pensando a dei significati da indossare, e da regalare, che durassero nel tempo. È dedicato a tutti coloro che guardano oltre.
- ARKANE produce gioielli meritocratici, dai costi contenuti, è stata una scelta che manterrete nel tempo?
E’ assolutamente una scelta che manterremo nel tempo essendo alla base del concetto di Arkane e desidero che continui ad esserlo.
Prima di salutarci ci tenevo a informare i nostri lettori, che per la prima volta, Arkane aprirà un Temporary shop, ovvero, un negozio fisico a tempo. Dal 13 al 24 dicembre 2024 in Viale Minieri 177, proprio a Telese Terme (BN), nella tua piccola città natale; qui sarà possibile non soltanto conoscere da vicino i tuoi gioielli/amuleti realizzati in acciaio inox e bagnato in oro 18 k ma incontrare, di persona, il volto fisico di Arkane, il tuo. Chiaramente una scelta volutamente intima in cui, hai deciso, di metterci letteralmente la faccia e il cuore e questo denota, oltre che una buona intuizione per gli affari, una consistente dose di coraggio e una buona consapevolezza della propria autoefficacia. Mi piace molto!
Dalla mia rubrica sTRUtto & parruCCO per oggi è tutto.
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Da Sabrina Musco e da me un caro saluto e Buon Natale.
Noi ci rivediamo presto.
Photo Credit by Sabrina Musco.
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