"È un'ossessione anche questa, non è vero?".
Lo disse con l'espressione tenera di una bambina, a dispetto dei suoi anni e di quel "sembiante" così tagliato con l'accetta da sembrare un personaggio di un fumetto, ma di quelli disegnati bene. Mi ricordava Alice, ma in una versione heavy metal. Avevo come l'impressione che i numerosi tatuaggi, molti dei quali in bella vista, fossero rigurgiti della sua anima complessa, così diversa dalle persone della sua età, che pure era indefinibile, e dalle sua amiche di provincia. Una aliena, un oggetto singolare e prezioso; fragile, della fragilità dei sospiri, come quelli voci in falsetto che quasi si spezzano sulle note più alte, ma che solo a quell'altezza compiono il miracolo della vita.
Era abituata a quei pensieri, oramai di cui parlava al passato, in cui temeva di fare del male ai bambini; erano, quelle, chiaramente ossessioni. Ma quelle di adesso? Anche adesso la sua paura di poter contaminare casa ed i suoi abitanti passando alla larga per un cantiere che si diceva avessero chiuso per la presenza di amianto era un pensiero ossessivo, ed una compulsione il lavare continuamente gli abiti e se stessa, non appena varcata la soglia di casa? L'angoscia la divorava, ma era un'angoscia dalle sembianze aliene, proprio come lei, un qualcosa che sembrava qualcos'altro. Un rigurgito d'anima, un disegno strappato alla pelle, una pelle sempre più rada tra gli inchiostri ed i significati nascosti o più evidenti. Evidenti a chi sappia guardare, o conversare, che è la stessa cosa.
La paura, questa maledetta paura di morte. Una morte che colpisce non a caso, ma per mano nostra, per colpa nostra. Già, il senso di colpa, come se ci fosse bisogno di ricordarlo, come se lo si potesse dimenticare. Mi faceva una tenerezza tale che l'avrei abbracciata, se solo non sapessi che ogni atto in terapia è terapeutico, e questo abbraccio non sarebbe stato di alcuna utilità.
"Le persone muoiono, Maria, quelle che ci sono care ed anche quelle che non lo sono, o non sappiamo che lo sono fino a quando non le perdiamo. Le persone muoiono, e noi non possiamo farci niente. Se la morte è un errore, nell'economia delle nostre vite, non è un errore nostro; se la morte è un errore, non è un errore a cui possiamo porre rimedio. Se la morte è un errore, che il dolore ci divori, ad un certo punto si sazierà e smetterà. Prenderemo allora i nostri brandelli e cureremo le nostre ferite, perché della morte noi siamo gli offesi, i colpiti, i danneggiati. I lasciati soli. Ceda al dolore, più che alla colpa: le lacrime curano le ossessioni quanto i farmaci, mi creda".
"L'abbraccerei, dottore, se solo potessi".
"Le offro un biscotto, mi dicono sia un ottimo rimedio contro l'amianto ed il dolore. Non sorrida: sono un dottore, so ciò che dico".
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