"Basta, non mi serve a niente, non la voglio vedere più!".
Era un odio periodico. Puntuale come una sciagura, una bolletta della luce, la fine di un amore. Aria (i genitori l'avevano chiamata così, trattenendo il fiato) doveva, di tanto in tanto, ricordarmi com'era fatta: com'era fatta per tutti gli altri e, accidentalmente, anche per me. Doveva essere se stessa, anche con me, per vedere di nascosto l'effetto che fa. L'effetto che fa su una persona che le sta di fronte e che accoglie il suo esplodere contenendo, piuttosto che rilanciandoglielo contro, per quella legge di azione e reazione regolata non so da quale regola.
Chi l'ha scoperta, di certo, non era un terapeuta. Aria sapeva essere deliziosa quando riusciva a tenersi lontana dai suoi dipoli opposti, quando riusciva a trattenersi dall'essere stucchevole nei suoi complimenti sperticati o aggressiva sino alla lite furibonda.
Nel mezzo c'era una creaturina fragile, ma che era in grado, in un battito di ciglia finta, di farti incazzare come solo chi ti conosce bene sa fare. Tutti gli uomini della sua vita se ne erano andati via, non per colpa sua ma neanche per colpa loro; faccio sempre fatica a far comprendere che la colpa non è un concetto utile in terapia, almeno come giustificazione, ma che lo è enormemente come vissuto.
Ecco, io ero, periodicamente, l'incarnazione di questo male: il prototipo dell'uomo da mettere alla prova, inconsapevolmente e con ferocia estrema, per vedere in quanto tempo e con quale motivazione se ne sarebbe andato via. Io ero il papà, il fratello, lo zio paterno e tutti i suoi fidanzatini e fidanzati: i primi che dovevano un amore eterno, per contratto, ed i secondi che lo promettevano, salvo poi a rinsavire, a ricredersi, a capire, a non riuscire a resistere. A ben vedere, la terapia con Aria era una terapia di resistenza. Io dovevo stare li, a dispetto di tutto, ultimo baluardo di quella possibilità di una relazione impossibile. Io dovevo essere la sua disconferma bella.
"Anche io, Aria, certe volte non ti voglio vedere più. Ma le relazioni, quella terapeutica compresa, richiedono impegno. Io ti aspetto qui, di fronte a te, anche quando sei un po' stronza, come oggi. E scusa se ho detto un po': non vorrei, dopo esserti impegnata tanto, che ti sentissi sminuita". Seguiva sorriso, fino alla prossima crisi
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