I principi secondo cui non è lo Stato a dover provvedere alla distribuzione delle risorse per soddisfare i bisogni dei cittadini erano sulla strada del tramonto. Lo aveva capito perfino un paese come la Cina che, grazie alle riforme economiche di Xiaoping, ha intrapreso la strada di un’economia libera, sebbene controllata –per alcuni aspetti– da apparati statali.
Quando si è in cerca una frase ad effetto o di una citazione appropriata, senza spremersi troppo le meningi, si può fare affidamento alla sterminata banca dati di Google e se non ci si accontenta dei classici passaggi di Confucio, Budda o degli antichi filosofi greci si può gettare l’occhio sulle frasi di Fabrizio Caramagna che nei suoi aforismi ha pizzicato di tutto, perfino la povertà accostando, come Guareschi, sacro e profano nel dire: “Se Gesù promette ai poveri il paradiso, Marx annuncia loro la fine dell’inferno. Qui o là, i poveri sono pregati di attendere.”
Ma con ogni probabilità i poveri, che le idee socialdemocratiche dal dopoguerra in poi, volevano salvare: di attendere, non ne possono più. Ed hanno così teso l’orecchio verso altri brusii, cercando di carpire ciò che di buono potrebbe esserci per chi ha deciso di abbandonare le promesse socialdemocratiche rammaricandosi delle opportunità fallite e dei buoni propositi mancati. Eppure, l’idea di promuovere una giustizia sociale, umanizzando il capitalismo, dovrebbe essere condivisa dai molti che auspicano una più equa distribuzione economica, un’assistenza sanitaria e un’istruzione garantita per tutti, senza tralasciare il sostegno agli anziani e la dignità derivata dal giusto lavoro.
Pensare, che secondo alcuni storici tali concetti di derivazione socialista sono nati in Francia nel 1840 e sostenuti da movimenti democratici di natura borghese, non lascia indifferenti sebbene –al tempo– fino ai giorni nostri ci sono state diverse rielaborazioni concettuali che hanno lasciato, quasi intatti, i principi d’apertura della socialdemocrazia, i cui concetti di estrema regolarizzazione delle attività sociali ed economiche sono franati sotto le macerie del muro di Berlino che ha aperto enormi squarci, lasciando passare capitalismo liberale e voglia di privatizzazione. La gente ha sentito il forte impulso di rendersi protagonisti ed autori della propria ricchezza, dello sviluppo economico del proprio Paese e, nel mettere in gioco la bontà delle idee personali, si è sfiduciato l’assistenzialismo.
I principi secondo cui non è lo Stato a dover provvedere alla distribuzione delle risorse per soddisfare i bisogni dei cittadini erano sulla strada del tramonto. Lo aveva capito perfino un paese come la Cina che, grazie alle riforme economiche di Xiaoping, ha intrapreso la strada di un’economia libera, sebbene controllata –per alcuni aspetti– da apparati statali.
L’idea che chiunque, gestendo le proprie abilità e competenze, possa diventare tassello autonomo e significativo della crescita economica del Paese e artefice del proprio benessere, ipotizzando nessun limite alla ricchezza individuale, ha infierito –recentemente– a colpi di voti sulla socialdemocrazia che si era espressa con gli ultimi disperati rantoli di movimenti politici che hanno promesso danaro statale in cambio del consenso. Un vero e proprio voto di scambio occulto per garantire un benessere minimo controllato, senza lavorare.
Una promessa menzognera che ha azzardato di affossare definitivamente il Paese con il rischio di sradicare la voglia e le abitudini al lavoro; e senza lavoro la crescita economica è utopistica. Una vera a propria teoria fantastica incapace di alimentare gli stessi affluenti che avrebbero dovuto sfociare nel grande scolo dei principi di assistenza pubblica.
Così, lentamente, la socialdemocrazia muore ma non per mano di qualcuno o qualcosa: muore suicida soffocata da quegli stessi buoni propositi che, ultimamente, ha sbandierato e applicato ponendo –di conseguenza– ostacoli al mondo dell’impresa, dello sviluppo individuale e della ricchezza senza la cui abbondanza (ben regolata) è molto difficile garantire benefici alle società economicamente organizzate come la nostra.
di Mario Volpe
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