E’ finita l’era dell’improvvisazione, inizia quella della serietà al governo. È necessario reagire a un dibattito miope, nel quale i politici (ma anche l’opinione pubblica) guardano solo ai problemi di breve periodo trascurando le sfide più gravi che ci minacciano. La politica deve essere pensata nelle forme del terzo millennio, abbandonando schemi e procedure novecentesche, ormai morte per sempre. Ciascuno porti il proprio mattone per costruire la casa comune. La classe politica ha bisogno di nuove persone competenti e coraggiose, capaci di liberare speranza e sogni.
Secondo la precettistica retorica la nostra teoria della democrazia è la teoria di un governo caratterizzato dal processo elettorale e dalla responsabilità politica degli organi rappresentativi nei confronti dell’elettorato. In base a questo principio ne scaturisce uno più ameno, quello dello spoil system, mutuato in Italia dalla Dc, secondo cui chi ha più consenso ha diritto ad una fetta in proporzione di potere.
Questo principio potrebbe valere in un contesto storico “normale”, dove i sentieri sociali sono più o meno assemblati e corrispondono ad una “quieta diseguaglianza” ben gestibile dal politico eletto. Ma sia il Covid prolungato che la crisi bellica hanno catapultato Pomigliano, così come molte città italiane, in una atonia economica e sociale di grossa portata, tale che si ha necessità di tanti generali Figliuolo per tirar fuori dal baratro lo specchio sociale della città. Un dramma che minaccia le democrazie e il mondo.
Per descrivere la situazione, il filosofo americano Noam Chomsky usa addirittura la metafora della rana bollita. Come l’animale che non reagisce se l’acqua nella pentola si riscalda gradualmente, così l’umanità è incapace di fare scelte adeguate per rispondere al graduale deterioramento del contesto globale. E’ una situazione opaca che rende necessario l’utilizzo di risorse esterne specializzate come fossero manager di aziende private, senza puntare al guadagno ma alla pace sociale e allo sviluppo. E non lo si può fare chiudendosi in una Fortezza Bastiani diramando bonus o mancette elettorali per tenere a bada le tensioni popolari. Serve una ricostruzione strutturale dei gangli produttivi della città, avvalendosi di cospicue risorse comunitarie e del PNRR, che dovranno esser spese con l’acribia di uno scultore per dare alla città un sentore di europeizzazione.
E per fare questo ci vuole anche una rivoluzione della macchina amministrativa, chi sappia trovare le risorse e sappia scrivere un progetto per ottenerle con la sponda di una filiera istituzionale oggi necessaria. Pensare di fare da soli col solo bilancio interno è tagliarsi una gamba.
Ci sono temi nuovi al cospetto delle pubbliche amministrazioni che non possono essere affrontati con una politica artigianale affidata ai cantabanchi delle urne. Per esempio, una questione centrale sarà la transizione ecologica ed energetica. Portare Pomigliano nel 2050 con ridotte emissioni di Co2 è una missione da tecnico specializzato, così come affidare le governance di Enam e Asm a politici trombati o peggio ancora a professionisti non esperti della materia, non porterebbe ai risultati calcolati. “Vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile è un diritto universale” afferma il diritto universale dell’uomo.
E’ pur vero che il politico bravo ha una visione, ma per ora, tranne qualche falchetto, mancano aironi di razza. Il sindaco sia pasdaran del bene primario dell’ente pubblico e non solo uno smistatore di incarichi secondo manuale Cencelli e faccia un compendio tra politica e tecnica. Sia mecenate della qualità e della professionalità, senza badare troppo ai risultati elettorali, a costo di pagare lo scotto di qualche malcontento. In tal modo si potrebbe prevenire anche il “traffico di influenze” che un politico eletto è invogliato a fare per dare adito al suo elettorato.
Le cosiddette clientele, che pure ci saranno, ma non ridurrebbero ad un mercimonio la mercanzia pubblica. Ci sarebbe poi il tema della comunicazione che è diventato essenziale in una società liquida che rincorre la scia di un like. Troppa gente è arroccata sulle sue convinzioni, riceve informazioni che la confermano nelle proprie idee (i social funzionano proprio così), ha poca voglia di confrontarsi con le tesi degli altri. Così come il tema della crisi climatica: chiediamo con forza ai partiti politici di considerare la lotta alla crisi climatica come la base necessaria per ottenere uno sviluppo equo e sostenibile negli anni a venire. Questo dato di realtà risulta oggi imprescindibile, se vogliono davvero proporre una loro visione futura della società con delle possibilità di successo. L’appello ha avuto l’appoggio del premio Nobel Giorgio Parisi, che in una intervista su Repubblica ha risposto alle domande di Luca Fraioli:
D. Pensa davvero che nella attuale situazione politica i partiti italiani possano mettere le questioni climatiche al centro del dibattito?
R. Dovrebbero farlo, fosse anche solo per una questione strategica. Per un Paese come l'Italia, che deve importare i combustibili fossili, che siano gas, carbone o petrolio, passare alle fonti rinnovabili renderebbe molto più stabile l'economia. E se si facesse davvero su grande scala l'efficientamento termico di tutte le abitazioni, a fronte di un grande investimento, si avrebbe un grande ritorno per l'economia e il lavoro. Per tutti questi motivi è importante che i partiti mettano in chiaro nei loro programmi quali sono i loro progetti per la lotta ai cambiamenti climatici, per andare verso le energie rinnovabili e un mondo meno inquinato. Ma è altrettanto importante che poi gli elettori usino queste informazioni per decidere chi votare. (...) I politici sempre più spesso hanno un orizzonte di pochi anni, quelli del loro mandato, non intraprendono azioni di lungo termine i cui risultati rischiano di essere inutili per la rielezione. E il clima è uno degli argomenti che ha pagato questa scarsa lungimiranza politica. Però è vero anche che finora gli elettori non si sono fatti molto sentire. Hanno votato anche loro in base ai propri interessi di breve periodo. Dunque la responsabilità è sia dei politici che degli elettori: se questi ultimi non fanno in modo che sia conveniente per i partiti fare una politica climatica, i politici non la attueranno certo in modo spontaneo.
Anche la demografia non gioca per il Sud e per Pomigliano. La denatalità colpisce tutto il Paese, ma come sottolinea Roberto Poli in “C’è futuro e futuro”, avrà effetti più gravi proprio nel Mezzogiorno.
Pomigliano vive la quarta rivoluzione sociale; dai campi, alle fabbriche, al commercio fino ad un’incognita che solo un sindaco saggio potrà delineare.
Il tessuto sociale ed economico è calpestato da un forte divario, i poveri sono diventati più poveri, il ceto medio si è diluito in una perdita silenziosa. Toccherà poi ricucire la speranza col filo asettico del lavoro. Covid e guerra sono stati lo spoiler del nuovo Umanesimo, della Industria 4.0, dello stravolgimento degli usi e costumi della gente e di un nuovo modo d’intendere il lavoro. Nasceranno nuove professioni e ci sarà bisogno di sinergia con le scuole per preparare la futura classe dirigente e lavorativa.
E’ finita l’era dell’improvvisazione, inizia quella della serietà al governo. È necessario reagire a un dibattito miope, nel quale i politici (ma anche l’opinione pubblica) guardano solo ai problemi di breve periodo trascurando le sfide più gravi che ci minacciano. La politica deve essere pensata nelle forme del terzo millennio, abbandonando schemi e procedure novecentesche, ormai morte per sempre. Ciascuno porti il proprio mattone per costruire la casa comune. La classe politica ha bisogno di nuove persone competenti e coraggiose, capaci di liberare speranza e sogni.
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