La battaglia contro tutti i proibizionismi è una battaglia storica di Marco Pannella e dei Radicali fin dagli anni ’60 e oggi è sotto gli occhi di tutti, ma proprio di tutti, che la politica del proibizionismo e della guerra alla droga è semplicemente fallita.
Ogni volta che in televisione si parla di questioni relative alla sicurezza dei territori e di mafia la voce antiproibizionista è una voce che non esiste; in tutti i programmi che parlano di questi problemi che attanagliano ogni giorno milioni di cittadini, sentiamo solo la voce proibizionista e securitaria che parla unicamente di più polizia, più repressione e più controlli nelle case e nelle scuole.
Eppure vediamo ogni giorno come le strade e le piazze di moltissime città italiane, Pomigliano d’Arco compresa, vengano occupate dagli spacciatori e dalla criminalità organizzata, un problema di cui non si può parlare a causa del tabù che lo investe e che non riesce a entrare nelle case degli italiani se non sporadicamente, come è avvenuto ad esempio con la serie televisiva Gomorra.
La battaglia contro tutti i proibizionismi è una battaglia storica di Marco Pannella e dei Radicali fin dagli anni ’60 e oggi è sotto gli occhi di tutti, ma proprio di tutti, che la politica del proibizionismo e della guerra alla droga è semplicemente fallita.
Nessuno lotta per la legalizzazione dei derivati della canapa indiana pensando che queste siano cose buone o che non abbiano alcun effetto nocivo, ma perché qualsiasi sostanza, la cannabis come tabacco e alcol, se consumata in un regime di illegalità produce danni infinitamente maggiori di quelli che produce se consumata in un regime legale.
Questo è il fondamento dell’antiproibizionismo, ossia l’idea che un regime di legalità può affrontare con intelligenza comportamenti diffusi, riducendo l’effetto negativo che questi comportamenti diffusi hanno sul singolo e sull’intera collettività.
In pratica deve essere messo al bando proprio quel regime che Marco Pannella ha sempre definito di liberalizzazione illegale.
Si tratta di un contesto, come oggi avviene ed è sempre avvenuto, che consente a chiunque di acquistare, in qualunque ora del giorno e della notte, in qualunque via o piazza o davanti a qualsiasi scuola, qualunque sostanza dalla rete degli esercizi commerciali illegali di sostanze.
La verità è sotto gli occhi di tutti: in tutti i Paesi in cui le leggi hanno consentito la legalizzazione della marijuana, si è notato un sensibile calo di consumo, calcolato ovviamente anno su anno dall’inizio della legalizzazione. Esiste nel mondo una nuova consapevolezza, una linea di tendenza che, finalmente, va in questa direzione, l’Onu e la sessione dell’Ungass che si è svolta dal 19 al 21 di aprile 2016, ha aperto una discussione che fa breccia alle tre convenzioni in materia di droga che nulla dicono rispetto ai dati scientifici maturati negli anni e depositati presso l’OMS, ma che semplicemente dichiarano che è sbagliato e che fa male.
Scrivere ancora oggi che la cannabis sia più nociva di alcol e tabacco è semplicemente essere disinformati o guardare ai fenomeni in termini ideologici e non scientifici. Pura ipocrisia che alimenta mercati e traffici illeciti.
La marijuana fa male? Si, ma fa male ancora di più in termini sociali, giudiziari ed economici quando un fenomeno non è governato ed è gestito esclusivamente dalla criminalità.
La marijuana di Stato al pari del tabacco e alcool permetterebbe di attuare campagne educative, di dissuasione e di consumo consapevole riducendo i danni del folle proibizionismo che ci accompagna dal 1961.
È di tutta evidenza che il problema della legalizzazione parte da riflessioni di tipo etico e morale. Come ha spesso sottolineato Roberto Saviano, scrittore, giornalista, profondo conoscitore della storia della criminalità organizzata, si ritiene, sbagliando, che essere antiproibizionisti significhi tifare per le droghe: sottovalutarne gli effetti, incentivarne il consumo. Niente di più falso. Spesso, in Italia, le discussioni sui temi più delicati sono travolte da un furore ideologico che oscura i fatti e impedisce un dibattito sereno. È successo con l’aborto, con l'eutanasia, succede con le droghe.
E non è possibile che una parte dei cittadini, che la parte maggiore delle istituzioni religiose - con il peso che la Chiesa Cattolica ha in Italia - e che la politica tutta, tranne pochissime eccezioni, si rifiutino di affrontare seriamente e con responsabilità questo tema. La legalizzazione delle droghe è un tema complicato, difficile da proporre e da affrontare. Questo pone molti problemi soprattutto di carattere morale, ma un Paese come il nostro, che ha le mafie più potenti del mondo, non può eluderlo.
Il nodo centrale è il legame tra morale pubblica e lotta alla criminalità. È evidente che i primi a sostenere il proibizionismo siano i boss di mafia, camorra e ’ndrangheta. Lasciare il mercato delle droghe nelle mani delle organizzazioni criminali non renderà immacolate le coscienze di quanti ritengono che lo Stato non possa farsi carico di produrre e distribuire sostanze stupefacenti.
Decriminalizzare questi reati significherebbe avere una giustizia che funziona meglio; significherebbe avere delle forze dell’ordine con più risorse per occuparsi delle altre forme di criminalità, ma significherebbe anche avere delle carceri che vedrebbero un drastico ridimensionamento del proprio sovraffollamento.
Giovanni Passariello
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