L’amore tende al bello, abbiamo detto. Ma cos’è bello? Ad un primo livello possiamo dire: è bello ciò che piace e piace perché appaga. Ma non sempre troviamo appagamento in ciò che si rivela per noi salutare: perché? L’appagamento (dal latino a(d)-pacare ossia pacificare) tende alla pace dei sensi (nel suo significato etimologico); tende naturalmente al bello in quanto armonico. Tuttavia, l’appagamento è per un attimo, non è una condizione durevole, almeno in questa vita caratterizzata, per credenti e non, da uno stato di tensione continua. Quando, per svariati motivi legati alla propria storia personale, si fa fatica a sedare temporaneamente e, almeno parzialmente, la tensione, più o meno consapevolmente si cercano oggetti forti, potenzialmente in grado di soddisfare la maggiore tensione interna ad un punto di equilibrio più alto.
La “posta in gioco” sale e chi perde il controllo cade più rovinosamente. Vero è anche che le personalità più geniali e passionali si muovono a questa altitudine. Basti pensare a qualche adolescente particolarmente irrequieto di nostra conoscenza, ad artisti, filosofi, scienziati, mistici.
Tornando al bello: in linea generale vale il principio greco della kalokagathia, ossia della coincidenza di buono e bello; intuire e desiderare il bello significa intuire e desiderare la promessa buona della vita. Per quanto resti fondamentalmente una percezione soggettiva, la bellezza ha dei tratti oggettivamente riconoscibili rispondenti alla struttura armonica dell’umano. Un tramonto, un fiore, una bella donna, il volto di un bambino sono da tutti riconoscibili come belli. Spesso però i nostri sensi vengono sedotti da un altro tipo di bellezza, una bellezza vacua, talvolta deformata, che ci attira, che apparentemente ci soddisfa ma che ben presto ci abbandona in uno stato di insoddisfazione, di ansia e solitudine. Bellezza ammaliante ossia, etimologicamente, che conduce al male, nel senso che distoglie dalla verità di noi stessi e risulta così mortifera. È la bellezza di Circe e delle sirene che vorrebbero arrestare il viaggio di Ulisse; è la bellezza di un amore seducente senza storia e libertà reciproca che blocca la vita anziché potenziarla; è la bellezza dei modelli televisivi che, con la sua forza prorompente e sprezzante, induce inesorabilmente a cure (per non dire torture) estetiche costose e spesso pericolose; infine, è la bellezza immaginata e lasciata immaginare molto spesso nelle chat-line: ci si crea un’identità virtuale senza difetti e si cercano nuove relazioni e riconoscimenti in una vita parallela che mortifica quella reale.
Si intravede già qui l’equilibrio instabile su cui poggia il bello, tra pienezza e svuotamento dell’io, tra vita e morte, apertura al mistero e ottundimento. Ma facciamo un passo ulteriore: il bello, come l’amore, non è solo ciò che appaga. Lo è ad un primo livello, ma non ci si può fermare qui. Parlando di bellezza Gibran scrive: «la bellezza non è bisogno, ma estasi. Non è una bocca riarsa, né una mano vuota e protesa, ma piuttosto un cuore che arde e un’anima incantata. Non è l’immagine che vorreste vedere, e neppure la canzone che vorreste sentire, ma un’immagine visibile anche ad occhi chiusi, e un canto che potete udire anche tappandovi le orecchie. Non è la linfa nella corteccia rugosa, né un’ala attaccata a un artiglio, ma piuttosto un giardino eternamente in fiore e uno stormo di angeli sempre in volo. Gente di Orfalese, la bellezza è la vita stessa, quando la vita rivela il suo sacro volto. Ma voi siete la vita e il velo. La bellezza è l’eternità che si guarda allo specchio. Ma voi siete l’eternità e lo specchio». Per comprendere questo passaggio è sufficiente riflettere su due esperienze comunemente considerate agli antipodi ma di fatto molto simili: l’esperienza mistica e l’esperienza erotica.
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