Le criticità del sistema carcerario italiano sono oggi così complesse che tentare di ragionarci in termini “squisitamente filosofici”, ripensando alla funzione della pena e della restrizione della libertà finirebbe per concludersi in mere disquisizioni accademiche. I numeri, particolarmente drammatici, devono riportarci con i piedi per terra e alla conclusione che, per quanto si possano sognare riforme figlie di progresso e di civiltà, le emergenze pretendono soluzioni pragmatiche.
La Costituzione è un principio regolatore della nostra società, delle democrazie tutte, atta a tutelare ogni essere umano e cittadino. Precisamente, all’interno della Costituzione italiana si trova l’articolo 27: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tuttavia, l’Italia assume una percezione di giustizia punitiva e carcere-centrica. Non a caso, il nostro Paese è annoverato per avere le pene più lunghe rispetto ad altri paesi europei. Il 27% della popolazione carceraria italiana ha una condanna compresa tra i 5 e i 10 anni, a fronte di una media europea del 18%, ovvero di 9 punti percentuali più bassa.
La realtà mostrata dal rapporto di Antigone del 2021 mostra come le condizioni delle carceri siano spesso al limite. La popolazione carceraria è in media del 115% in più e in alcune città come Taranto o Brescia arriva a toccare picchi, rispettivamente del 196,4% e del 191,9%. A fronte di questi dati sembra difficile pensare che si stia trattando la popolazione carceraria con intento educativo e secondo «il senso di umanità» citato nella nostra Costituzione.
Le criticità del sistema carcerario italiano sono oggi così complesse che tentare di ragionarci in termini “squisitamente filosofici”, ripensando alla funzione della pena e della restrizione della libertà finirebbe per concludersi in mere disquisizioni accademiche. I numeri, particolarmente drammatici, devono riportarci con i piedi per terra e alla conclusione che, per quanto si possano sognare riforme figlie di progresso e di civiltà, le emergenze pretendono soluzioni pragmatiche.
Sulla base degli ultimi dati rilevati, l’Italia si conferma tra i paesi con le carceri più affollate dell’Unione europea, seconda solo a Romania, Grecia, Cipro e Belgio. Italia che detiene ancora il primato in Europa, invece, per numero di persone detenute per violazione della normativa in materia di stupefacenti (Dpr 309/90), in percentuale quasi doppia rispetto alla media europea (18%) e mondiale (21,6%). Il sovraffollamento è tra i più alti d'Europa. Il tasso di suicidi è ai massimi dell'ultimo decennio.
Dalle visite effettuate in 85 istituti penitenziari negli ultimi 12 mesi, dal luglio 2021 al luglio 2022, gli osservatori hanno rilevato che in quasi un terzo (31%) degli istituti ci sono celle in cui non sono garantiti neppure i 3 metri quadri calpestabili per persona.
Al sovraffollamento, che non aiuta di per sé a combattere il caldo che si manifesta in estate, si aggiunge anche il fatto che nel 58% delle celle non ci sia la doccia per cercare un po’ di refrigerio (anche se il regolamento penitenziario del 2000 prevedeva che ci fossero docce in ogni camera di pernottamento entro il 20 settembre 2005). Infine nel 44,4% degli istituti ci sono celle con schermature alle finestre che impediscono il passaggio di aria.
Secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati al 30 giugno 2022, sono 54.841 le persone detenute negli istituti di pena. Di questi 2.314 sono donne e 17.182 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 50.900 posti, con un tasso di affollamento ufficiale dunque del 107,7%.
Se, tuttavia, si analizzano però tutte le schede trasparenza dei 190 istituti penitenziari italiani, pubblicate dal ministero della Giustizia, si scopre che nei vari istituti sul territorio nazionale ci sono al momento ben 3.665 posti non disponibili. Di conseguenza, la capienza effettiva dunque scende a 47.235 posti, ed il sovraffollamento effettivo sale al 113%.
Le misure alternative aiuterebbero a superare questo problema.
Inoltre, circa un detenuto su quattro è tossicodipendente. Questo dato restituisce una realtà preoccupante, in quanto al 31 dicembre 2020 i detenuti presenti con problemi di tossicodipendenza erano il 26,5% ovvero 14.148. Molti, se si pensa quanto i detenuti tossicodipendenti siano maggiormente soggetti a contrarre malattie infettive.
Diciotto i suicidi a metà 2021 e nei soli primi 3 mesi dell’anno 2.461 gli atti di autolesionismo. Nel 2021 (fino al 15 luglio) secondo il dossier Morire di carcere di Ristretti, i suicidi sono stati 18, di cui 4 commessi da stranieri e i restanti da italiani. Il più giovane aveva 24 anni e il più anziano 56. Nel 2020 i suicidi sono stati 62 e il numero di suicidi ogni 10.000 detenuti è stato il più alto degli ultimi anni, raggiungendo le undici unità. Per quanto riguarda i casi di autolesionismo, per il primo trimestre del 2021 la Relazione al Parlamento del Garante Nazionale ne riporta 2.461. A Firenze Sollicciano si sono verificati 105 casi di autolesionismo ogni 100 detenuti.
Ma c’è anche un’altra condizione da tenere presente: la formazione professionale è in calo. Uno studente detenuto su 3 ha abbandonato la scuola. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Dap, al 31 dicembre 2020 erano 17.937 le persone detenute che lavoravano. Di queste, quasi l’88% (15.746) alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e il restante 12% circa (2.191) per datori di lavoro esterni. I corsi professionali attivati all’interno degli Istituti di pena nel secondo semestre del 2020 sono stati 117, di cui 92 portati a termine. Sebbene si registri un aumento rispetto al primo semestre del 2020, si è ancora lontani dai numeri pre-pandemia, quando i corsi attivati superavano i 200 (dicembre 2019).
Alla luce di questa situazione, sono necessarie delle soluzioni adeguate e praticabili che mettano al primo posto la tutela del diritto alla salute per la popolazione detenuta, garantendo la massima trasparenza sulla situazione all’interno delle carceri e un monitoraggio costante sull’applicazione delle misure di prevenzione, soprattutto in questa fase di chiusura in cui le stesse organizzazioni che effettuano osservazione indipendente sono costrette ad effettuare una faticosa raccolta di informazioni a distanza.
Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha dichiarato qualche giorno fa che questa piaga sociale oggi è “risolvibile solo affrontando il problema delle dipendenze “. La sua proposta è quella di spostare i detenuti tossicodipendenti in comunità protette a loro dedicate. Un progetto condiviso dal governo, in particolare dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Quello annunciato è un cambio di prospettiva. L’intenzione è quella di lavorare ad un provvedimento che veda coinvolto il terzo settore, al fine di costruire “un percorso alternativo alla detenzione “. Delmastro ha preso l’impegno di visitare le carceri con lo scopo di prendere visione della situazione e proporre una riorganizzazione. Secondo il sottosegretario alla giustizia, bisogna comprendere che per un tossicodipendente che ha commesso reati per procurarsi la droga, il fine rieducativo della pena non sta nel fatto che conosca a memoria la Costituzione o abbia partecipato a un ottimo corso di ceramica, ma per loro la priorità è la disintossicazione. Nel dettaglio la proposta si concretizza con fatto che il giudice, già in sentenza, può sostituire i giorni di carcere indicati con un numero uguale presso una comunità protetta. Cioè, se vieni condannato a due anni puoi scontarli tutti lì. Se poi impieghi otto mesi a disintossicarti, per il tempo restante la comunità ti aiuterà a formarti e a trovare lavoro.
Ovviamente questo proposta sarebbe solo un inizio, che tuttavia, non potrebbe mai risolvere il problema carcerario in Italia in maniera sostanziale, se non si terrà conto, ad esempio, della riduzione delle pene per reati minori o per l’uso e detenzione di sostanze stupefacenti. In tutto ciò finché non ci sarà una vera legalizzazione delle sostanze, non si potrà mai raggiungere l’obiettivo di carceri civili sulla base di una fondamentale idea del filosofo Voltaire: “La civiltà di un Paese è data dalle condizioni delle sue carceri”.
di Giovanni Passariello
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