Nella relazione semestrale al ministero dell’Interno e al Parlamento presentata qualche giorno fa, la DIA, Direzione Investigativa Antimafia, aggiorna la mappa della presenza camorristica nella provincia di Napoli. Il contesto criminale della nostra area metropolitana è caratterizzato da una vera e propria ipercompetitivitá tra i clan, col ricorso sistematico ad atti di violenza armata e un controllo territoriale finalizzato alla gestione dei mercati illeciti, soprattutto quello degli stupefacenti.
In questo allarmante quadro, il fenomeno delle baby gang si allarga, maturando in un contesto ambientale caratterizzato da diffusa illegalitá, dove giovani generazioni criminali si muovono alla ricerca di spazi di affermazione. Tuttavia, secondo la DIA, “i fenomeni di devianza minorile a Napoli e nella Campania non sono da considerarsi esclusivamente un prodotto della camorra, ma da questa traggono comunque linfa e ispirazione, secondo modelli comportamentali tipici di emulazione e identificazione”.
La mappa dei clan, i quali mantengono essenzialmente una struttura familiare, evidenzia aree di influenza e operativitá. A Pomigliano, si legge, operano i gruppi dei Sangermano e dei Mascitelli. Il primo, originario della zona di San Paolo Belsito, risulta particolarmente attivo anche nel campo imprenditoriale, con interessi nel mondo della ristorazione e degli alimentari. Mente il secondo, originario di Ponticelli e contiguo al clan Sarno, sebbene decimato dagli arresti, recentemente ha esteso il proprio dominio sempre di più verso i comuni vesuviani.
In questo quadro, descritto puntualmente dal più autorevole apparato statale operativo nel contrasto alla criminalitá organizzata, appare perciò ancora più necessario che l’azione investigativa sia svolta da chi ha adeguati mezzi e competenze, oltre che ruolo istituzionale.
C’è da annotare che ancora oggi, a distanza di oltre quindi mesi, non si è riusciti a sapere chi incendiò le auto della polizia municipale di Pomigliano. L’episodio accadde il primo gennaio 2022, e fu immediatamente ricondotto a una matrice camorristica. Le indagini furono affidate ai carabinieri, ma il capo della polizia municipale cittadina, ripreso dai media con comprensibile clamore e sostenuto dall’allora sindaco Gianluca Del Mastro, si era espresso duramente, mettendo in campo tutto il proprio peso e additando una certa politica come se non complice, quanto meno contigua al terreno di coltura di episodi del genere. Sta di fatto che ad oggi la cittá ancora aspetta di conoscere l’identitá di chi fu autore del gesto.
Tutto ciò, e a maggior ragione sulla scorta dei dati e delle notizie diffuse dalla DIA, induce a ritenere che nella lotta alla criminalitá organizzata siano impegnate risorse adeguate, sia per competenza e formazione specialistiche, che per disponibilitá di idonei mezzi.
Certo è che, in un quadro del genere, sarebbe del tutto illogico immaginare che il peso della lotta al crimine organizzato ricada su un corpo come quello della municipale, anche solo in parte. L’auspicio è che le istituzioni deputate a ciò, insieme con l’associazionismo attivo nel settore, facciano fronte comune chiedendo che a procedere in questo campo sia chi è in grado di dare risultati all’altezza della sfida e delle aspettative, liberando invece le energie municipali affinchè si concentrino sulla altrettanto importante lotta di contrasto di quei piccoli comportamenti diffusi che tuttavia, nell’insieme, molto contribuiscono alla percezione del degrado urbano. Insomma, un richiamo affinchè ciascuno faccia la propria parte, perché nella confusione dei ruoli a perderci sono solo i cittadini perbene di Pomigliano.
di Francesco Cristiani
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