Per molti ritornare a ritmi di vita normali dopo le vacanze è –senza dubbio– una bella fatica e, spesso, ogni rientro riserva qualche piccola sorpresa non gradita. Purtroppo, questa volta, molte imprese italiane e cittadini si sono ritrovate vittime di un apparente scherzo dallo spessore internazionale; ma a ben vedere così non è stato. I consumatori hanno ritrovato nella cassetta della posta o nell’email bollette dell’energia da brividi. È sembrata una sorpresa, eppure già si pronosticava la concreta possibilità di aumenti dei prezzi dell’energia dallo scoppio della guerra in Ucraina, e come dirette conseguenze per le sanzioni alla Russia. Importi, a parità di consumi, quasi decuplicati rispetto alla media, come hanno fatto notare albergatori, industriali e ristoratori, tra le prime vittime delle bollette impazzite. Di conseguenza, molti hanno protestato, minacciando la chiusura senza un adeguato e pronto intervento di un Governo – tra l’altro – con poteri limitati a causa della crisi politica. Addirittura, molti imprenditori hanno annunciato la loro insolvibilità delle fatture dell’energia, pur sapendo che l’unico effetto immediato non sarebbe altro che lo stacco della fornitura. Ma in uno stato di economia di guerra molti equilibri e regole saltano da un giorno all’altro, generando una reazione immediata in risposta a qualsiasi iniziativa. Così, la Russia non ha esitato a rispondere smorzando i rubinetti di Gazprom, ed essendone il principale fornitore europeo ne controlla, indirettamente, scorte e contrattazione.
Dopo sei mesi dall’invasione dell’Ucraina ci si è resi conto che questa sostanza volatile, estratta dalle viscere della terra, non solo è indispensabile per riscaldare le case e cucinare, ma serve anche per produrre una buana parte dell’energia elettrica dove non vi è nucleare e dove le alternative rendono ancora poco. Ma nei momenti di campagna elettorale la questione delle bollette impazzite è un boccone troppo ghiotto per lasciarlo andare, e nessuno si è fatto scrupolo a tuffarvici a piene mani allo scopo di strappare ancora voti ingarbugliando le acque, puntando il dito a casaccio e paventando soluzioni illiberali, quali il tetto al prezzo del gas all’ingrosso. Tetto che l’Europa, ad oggi mal digerisce, per non sconfessare la lunga battaglia fatta a favore della liberalizzazione dell’energia allo scopo di combattere –al meglio– i monopoli privati in favore di libere contrattazioni da sempre regolate presso le piazze di riferimento, centri di speculazioni di mercato che, malgrado il termine poco piacevole, frenano le contrattazioni in esclusiva capaci di atteggiamenti speculativi ancora più feroci.
Infatti, le quotazioni delle materie prime e del gas stesso, presso le piazze finanziarie come Amsterdam, hanno garantito –prima della guerra– un metano a buon mercato senza che nessuno si ponesse alcuna domanda in merito. Eppure, i politici in campagna elettorale demonizzano la speculazione, senza distinguere tra quella buona e cattiva, istillando il dubbio nella gente che finisce per chiedersi il vero motivo per cui il prezzo del gas si fissa ad Amsterdam e non a Crotone. Forse, banalmente, Amsterdam è tra le più antiche borse del mondo dal 1602 ed è la più qualificata e attrezzata a tale scopo?
Certamente Amsterdam non è il paradiso come ha dichiarato Torbjorn Tornqvist, miliardario svedese tra i maggiori intermediari al mondo, che da quaranta anni si occupa delle quotazioni del metano. Torbjorn, di recente, ha confermato che negli ultimi tempi il meccanismo della quotazione del gas europeo è avvelenato da ingerenze estranee, ma piazze come l’Olanda sono indispensabili per garantire il principio di liberalizzazione dei prezzi delle materie prime, come del resto stabilito dall’Europa stessa. Alle parole degli esperti si contrappongono gli strilloni della politica poco inclini a prendere concrete iniziative per mitigare le fatture dell’energia. Solo qualcuno ha ipotizzato di sganciare il costo dell’elettricità prodotto con impianti alternativi: quali eolico e solare, da quella prodotta con il gas, ma quasi nessuno si è speso per la completa epurazione dell’IVA, delle accise e del costo di trasporto in bolletta, impropriamente calcolato in proporzione ai consumi. Del resto, in uno stato d’emergenza andrebbero approvate misure d’emergenza e non artifici fiscali dai risultati incerti e non immediati.
Mario Volpe, editorialista e scrittore
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