Il caso Julian Assange si presenta come molto interessante innanzitutto perché mette a nudo l’attuale subalternitá dei media occidentali rispetto al potere dei governi, svelando meccanismi oramai collaudati che, posti al servizio di chi detiene le leve del comando, consentono di mettere a tacere le voci critiche, attraverso strumenti apparentemente legali. D’altro canto, dicevano gli antichi romani, summum jus summa injuria. La massima espressione del diritto finisce per nascondere l’ingiustizia sostanziale.
Assange è il fondatore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks, che letteralmente significa fuga di notizie. Un apparato mediatico senza scopo di lucro che, utilizzando un complesso sistema di crittografia, riceve messaggi e documenti strettamente riservati, e li pubblica sul proprio sito, mantenendo l’anonimato delle fonti. WikiLeaks si avvale di una schiera di giornalisti e attivisti di ogni parte del mondo, facendo molta attenzione perché restino nell’anonimato, onde preservarne l’operativitá.
Una spina nel fianco, specialmente per il governo americano, di cui ha svelato non pochi segreti.
È grazie a WikiLeaks che sono venute a galla notizie a dir poco imbarazzanti, circa la disastrosa gestione della guerra in Afghanistan e l’uccisione di centinaia di civili. Anche a proposito del conflitto in Iraq, i documenti e le notizie diffuse dell’organizzazione facente capo ad Assange mostrano comportamenti, da parte dei militari USA, a dir poco crudeli e insensati, come l’uccisione di alcuni giornalisti locali mitragliati nsieme a persone comuni, da parte di due elicotteri Apache. Tutte persone innocenti, che nulla avevano fatto.
Assange è in galera in Inghilterra, in attesa di essere estradato negli Stati Uniti, dove lo attende un processo in cui rischia decine di anni di carcere, per aver divulgato questo materiale riservato. Nel 2010 le porte del carcere per lui si erano aperte grazie a una accusa di violenza sessuale per fatti accaduti in Svezia. Alla fine quelle accuse caddero, ma intanto Assange era stato assicurato alla giustizia inglese, in attesa della richiesta di estradizione dall’America. Da allora, era il 2019, non ha più rivisto la libertá. Vive in una cella di 8 metri quadrai, in completo isolamento.
La cosa più paradossale è che in Europa, ma soprattutto in Italia, i media parlano del caso Assange assai malvolentieri, o non ne parlano affatto. Le accuse americane contrastano fortemente con la tutela della libertá di informazione. Si, perché ciò di cui Assange è accusato non è la divulgazione di segreti militari, di spionaggio, o di diffamazione. Le notizie di WikiLeaks sono tutte originali, vere, e senza rilievo strategico. Ma sono molto scomode, perché contrastanti coi principi etici universali.
Finisce che, nella sostanziale inerzia dei media occidentali, è oggi la stampa americana, col Washinton Post in prima fila, a guidare la crociata perché le accuse siano ritirate. Anche al congresso statunitense, un gruppo di parlamentari sta chiedendo che quelle accuse cadano, richiamandosi a un emendamento alla costituzione che tutela la libertá di stampa.
Insomma, un sistema, quello americano, capace di stupire contenendo allo stesso tempo un terribile caso giudiziario di violazione di una libertá fondamentale come quella di stampa, e contemporaneamente anche il movimento di opinione che lotta contro di esso.
di Francesco Cristiani
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