La deflagrazione di quello ircocervo chiamato Laboratorio ha fatto schizzare un po’ dovunque una massa di voti che un pirandelliano Del Mastro aveva raccolto nel 2020 spinto dall’ inerzia di un competitor in affanno e dalla foga popolare ringalluzzita dall’idea di Voltare pagina. La pagina si è stracciata e non ha lasciato tracce d’inchiostro. Ciò che è rimasto è l’incredulità attenuata della gente, che pure mormorava, che ha dovuto assistere alla defenestrazione del votato primo cittadino per via notarile.
L’atteggiamento del popolo, a dire il vero, non è stato di giubilo, anche se molti avevano giurato di non votare più perché nulla cambia. A ben vedere è proprio questo atteggiamento dimesso e distaccato della gente che miete i dubbi di chi è intento a fare calcoli col bilancino, liste alla mano. Più di 10 mila voti sono volati in aria e non si sa dove planeranno. Non hanno un identikit preciso perché Del Mastro non incarnava uno storytelling politico ben decifrabile. Siamo davanti ad un grande fetta di elettori che si muovono da una parte all’altra con rapida velocità. Non sono fidelizzabili, specie ora che l’astensionismo è il primo partito d’Italia.
Non hanno segni progressisti o conservatori. Per lo più si lasciano convincere dal tempo che tira, dai comizi di piazza, dai trend topic dei programmi dei candidati e non più dal parente candidato o dal vicino di casa. È il voto d’opinione se vogliamo, che cambia in continuazione o punisce chi non sa proiettarsi verso le loro aspettative. Il loro voto è liquido, scivoloso al punto di esser decisivo. Ogni schieramento ne deve tener conto se vuole prevalere e puntare su programmi semplici, forti e convincenti.
Le liturgie lisergiche dei partiti novecenteschi sono stravolte: serve una comunicazione snella e realizzabile. Proprio la comunicazione è più importante delle manie abitudinarie dei partiti, per cui servono collaboratori intelligenti capaci di intercettare il consenso e capire dove sta andando la gente. Elvira Romano ha perso anche perché non ha saputo comunicare la mole enorme di lavoro amministrativo fatto da Lello Russo. Era sola, senza una squadra.
Partiti e liste civiche sono ora in fermento per compilare le liste, cercando di accaparrarsi i migliori nomi portatori di voti. Il metodo è quasi sempre lo stesso anche se la realtà lo smentisce: fare il dna familiare del candidato e computare quanti voti può portare. Purtroppo non funziona più così, ci sono gli outsider, figli di nessuno che negli anni hanno costruito consenso libero e sono pronti a misurarsi coi big in partenza. Giocheranno un ruolo decisivo anche stavolta.
C'è il caso del M5S da tenere in considerazione: alle scorse nazionali hanno ottenuto una performance molto convincente, ciò nonostante il feudo di Di Maio si stava sgretolando. Qui c'è un indice di percettori del reddito di cittadinanza molto alto e molti di loro sono grati a Conte a prescindere dal tipo di sfida in essere. Il loro plus è nella scelta del simbolo, l'unico rimasto che ha valore aggiunto assieme a quello di Fratelli d'Italia. A prescindere da chi sceglieranno come partner, partono con un bottino di voti in vantaggio.
La politica non è appannaggio dei soliti noti, si vince di squadra e con i collaboratori al passo coi tempi. Pensare di farcela solo con un fitto templare di liste è un pensiero di corto respiro per chi voglia riaprire un ciclo politico. Oltretutto nessuno dei consiglieri uscenti ha quei voti, specie gli ex 5 stelle che dovranno riparare sotto il soglio benefico del Pd per riabilitarsi.
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