Qualsiasi fiamma tende ad estinguersi via via che la materia da ardere si consuma, eccetto la fiamma del desiderio che per sua natura è difficile da placare quando brucia se alimentata dall’ingordigia del potere e del possesso. La politica pare cibarsi di questo atavico desiderio dell’uomo di cui anche Platone, analizzandone a fondo le caratteristiche, ebbe a dire che soltanto l’intelligenza e la virtù possono porre un argine alla forzatura che il corpo tenta d’imporre all’anima, e se il corpo è quello dell’attuale politica la speranza per l’anima è sempre più flebile.
C’è un filo sottile, debole e impercettibile che tiene in vita i sentimenti e gli interessi materiali che, negli ultimi tempi, diversi uomini e donne, investite da cariche istituzionali, hanno contribuito ad anteporre al vero spirito del fare politica. Se si assiste di continuo a fenomeni di corruzione non c’è da meravigliarsi che la stima dell’opinione pubblica verso parlamentari, ministri, consiglieri e altre figure dello Stato tenda a cadere nel baratro dell’indifferenza, alimentando l’idea che i sentimenti e i valori politici di un tempo non fanno più parte delle nuove generazioni, fino a toccare i più alti vertici.
Infatti, non si fa in tempo a smaltire uno scandalo che subito se ne profilano altri sulla scena pubblica e l’accusa di corruzione dell’europarlamentare Eva Kailī non ha certo aiutato a migliorare le cose senza incidere più di tanto sull’indignazione generale, dal momento che a sentir parlare continuamente di politica personalizzata e corrotta la gente ci ha quasi fatto l’abitudine. È scontato, in condizioni del genere, l’inaridimento dei sentimenti e l’accrescimento del disinteresse generale, mali che brutalizzano lo spirito di servizio su cui si dovrebbe basare la missione della carica pubblica.
Se non è difficile dissentire dall’opinione che l’attuale classe politica mira spesso ad opportunità personali, non lo è nemmeno pensare che una sorta di lasciapassare a una politica d’interesse è stato avallato dagli stessi elettori che spesso si considerano entità completamente distinte dal governo della nazione in cui vivono. Una caratteristica evidente in regimi totalitari, le cui popolazioni sono abituate a subire le decisioni dei propri governanti, preferendo ignorare piuttosto che dissentire, al contrario di democrazie consolidate come la Francia in cui condotte inappropriate –da parte di uomini e donne delle istituzioni– sono combattute con massicce manifestazioni di piazza e partecipazioni attive alla gestione del proprio Paese.
Sono gli impulsi di adesione alla vita pubblica a non inaridire i sentimenti verso la politica, cosa che in Italia è considerata una condizione irraggiungibile al punto che si preferisce abbandonare anziché manifestare. Lo fanno i giovani laureati, i professionisti, gli imprenditori e perfino i pensionati che volgono la prua verso altre mete piuttosto che mostrare sentimento, intelletto e muscoli in favore del cambiamento immaginando la politica come un’arida attività burocratica. Eppure, la politica dovrebbe essere servizio per antonomasia, dal momento che la stessa parola racchiude in sé l’arte di governare, e l’arte non può essere avulsa da sentimenti.
di Mario Volpe
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