Le coordinate dello schema di ragionamento sono tre: EMPATIA – ESIBIZIONISMO – ABITUDINE.
In uno dei tanti discorsi dell’ex Presidente degli Stati Uniti Barak Obama, lo stesso affermava che l’empatia è la capacità di mettersi nei panni di qualcun altro; l’empatia genera piacere ad essere coinvolti nei confronti di altri, sentire le sofferenze altrui, entrare in simbiosi con i sentimenti, con lo stato emotivo degli altri.
Sul punto, segnalo il libro di Paul Bloom, “Contro l’Empatia, in difesa della razionalità”, un saggio controcorrente avvolto dalla copertina al contrario e, quindi, per leggerlo bisogna partire dalla fine verso l’inizio.
Il Professore canadese di psicologia presso la Yale University asserisce che molte volte l’empatia porta a commettere giudizi errati ed a fare delle scelte politiche irrazionali e sbagliate, la via di uscita è chiedere più spazio alla ragione e meno ai sentimenti.
E cita a sostegno della sua tesi, un esempio relativo alla città di Coventry durante la seconda guerra mondiale; infatti, gli inglesi avevano scoperto come decodificare il codice Enigma dei nazisti e avevano saputo del devastante attacco che stavano per lanciare sulla città.
Se si fossero preparati per l’attacco, i tedeschi avrebbero capito che il codice era stato decodificato, il governo di Churchill prese la durissima decisione di lasciare morire persone innocenti per conseguire un vantaggio militare in grado di dargli maggiore chance di vincere la guerra e salvare un maggiore numero di vite.
Non è un caso che mentre completo l’articolo gentilmente richiestomi, si vota in Francia e, quello che maggiormente si imputa a Macron, è di essere a differenza della Le Pen, meno empatico e qui, per gioca forza, va evidenziato l’appello di Edgar Morin.
Il filosofo francese, il cui vero cognome è Nahoum, ha compiuto cent’anni e ha utilizzato per gran parte della sua vita il nome di battaglia Morin nella résistance. Egli esorta i giovani a votare per Macron affinché vinca il pensiero lucido e non la rabbia, evidenziando che la Francia è ad un bivio, da una parte una nazione aperta, tollerante, laica umanista e dall’altra una Francia chiusa, aggressiva, nazionalista, razzista.
Passiamo al secondo fattore, l’esibizionismo. E, già un attento lettore, potrebbe interrogarsi circa l’attinenza con la empatia, ma credo che oggi più che mai, i due tratti siano inscindibilmente connessi.
Guia Soncini, con il suo ultimo libro “L’economia del sé”, ci dice che la principale occupazione è di vedere nei social merce in vetrina, di cui la più importante siamo noi stessi.
Insomma la fiera della vanità, dei narcisismi, si viaggia nella galleria di specchi dell’egocentrismo contemporaneo, la vera tragedia è non essere instagrammabile; l’esempio è quello del 1994, l’attore Cristian De Sica si traveste dal salumiere che vende il prosciutto e lo ripone nella vaschetta.
Insomma, Guia ha ragione da vendere, siamo prosciutti in vetrina da riporre nella vaschetta in ATM (atmosfera modificata), ecco noi pubblichiamo di noi, contorniato dal “ penzierino “ quotidiano didascalico e basta guardare al politico di ogni livello locale e nazionale oppure alla reginetta Ferragni in coppia con il coniuge Fedez e l’incolpevole Leone.
In questi tremendi giorni di guerra, l’esercito russo firmato Z, si fa fotografare in esibizione con lo sfondo dell’acciaieria Azovtasal infuocata; lì non siamo di fronte ad una foto storica, tipo quella del 1945 raffigurante la conquista di IW JOMA nel Pacifico da parte dell’esercito statunitense che pianta la bandiera dei 50 Stati federali, ma a Maripoul’ sembra più semplicemente la foto del film Rambo, in cui un manipolo di guardie forestali brindavano alla uccisione dell’uomo cattivo traditore della Patria.
Piace pensare che da dietro per una via di uscita di sicurezza dell’acciaieria, gli ucraini uscissero per combattere per la libertà, l’autonomia e l’autodeterminazione, proprio come è accaduto in Italia durante la seconda guerra mondiale.
A questo punto di approdo, la domanda sorge spontanea: cosa centra l’abitudine con sopra detto?
Oddiomio, nel retrobottega dell’ufficio cianfrusaglie sparse, non si può non toccare un grave pensiero e, cioè, la paura di abituarsi allo stato delle cose.
L’appagante bisogno di conoscenza aristotelica suddivide l’abitudine in due termini: hexis ed ethos. Il primo rappresenta la stabile abitudine che ci porta ad agire in un determinato modo, il secondo indica il processo che conduce alla formazione delle abitudini stesse.
Secondo Agostino, la consuetudo corporum è la principale responsabile della distanza dell’uomo da Dio e dalla verità.
Ecco, con una spruzzatina di modernità, possiamo asserire che le persone si abituano alle immagini, si abituano a imbonirsi di flotte di opinioni sui social, si abituano a condividere la foto del politico show che mette il suo faccione in vetrina di facebook, con il proposito (successivamente tradito dagli esiti delle sue azioni) di riflettere la sua condizione di giustezza e di moralità.
Ma c’è anche l’abitudine di vivere fra i montarozzi di immondizia oppure a camminare fra le erbe alte della vegetazione; l’abitudine alla controprestazione o al sinallagma dell’anima, io ti do la mia dignità o la mia coerenza e tu mi permetti di muovere le leve del potere.
Ed il riflesso dell’abitudine è la mancanza di una reazione, non siamo capaci più di avere un sussulto e ci adeguiamo e ci appiattiamo alla lenta e mediocre fluttuazione degli eventi.
La società della menzogna cancella chi critica, vedete cosa succede al fenomeno americano del woke, alla cancellazione della scrittrice Rowling che ha commesso un crimine quando ha sostenuto che il sesso biologico è reale, che donna si nasce e che la differenza fra maschi e femmine è importante da difendere.
Ancora in Francia, una giovane 18enne studentessa Mila che ha perso la libertà per aver criticato il Corano, costretta a vivere sotto scorta dopo aver ricevuto 100 mila minacce di morte e lasciato in uno stato di isolamento dal mondo intellettuale francese.
E nel nostro cortile, vedo e noto una corsa sfrenata al dirittismo, ha ragione il giornalista Barbano, noi moriremo di diritti e non ci accorgiamo in realtà che stiamo andando incontro ad un supplizio. Tantolo docet!
di Vincenzo Romano
Avvocato penalista
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