Maria Laura Giampaglia è una ragazza di 31 anni, una figlia, una sorella, una compagna ma sopratutto una psicoterapeuta. Perché il sopratutto? Perché inevitabilmente la vita professionale si intreccia inevitabilmente con la vita personale: uno sguardo, una notizia, un progresso o una regressione di un percorso terapeutico influisce sul quotidiano, quel quotidiano fatto di molteplici battaglie: la patologia di suo padre, la responsabilità di una figlia di “ prendersi cura” chi l’ha da sempre curata. La carriera professionale ha inizio con i suoi 18 anni e il momento in cui decide di abbandonare la facoltà di giurisprudenza per intraprendere il percorso di psicologia. Nel 2009 la facoltà di psicologia era considerata una facoltà di “ serie b” e da qui nascono i molteplici conflitti con i suoi genitori che le suggeriscono altre facoltà e con il lungo percorso che le aspetta. Parlo di lungo percorso perché per diventare psicoterapeuta ci vogliono più di 10 anni di studio: 5 anni di università, 1 anno di tirocinio e 4 anni di scuola di specializzazione.
Ed è così che la ragazzina di 19 anni iscritta al primo anno di psicologia si troverà a 30 anni ad essere una Psicoterapeuta. Ma cosa significa tale professione? Significa dare anima e ricevere l’anima perché le persone tendono a spogliarsi delle mille maschere che la società impone e raccontarsi attraverso il proprio intimo, raccontando di quel tumore al seno che ti ha cambiato la vita, della morte fulminante del proprio compagno, della violenza subita da tuo padre, della sensazione del “ mal di vivere” che sente di avere ad ogni inizio e fine giornata. Spesso tali racconti ti portano non sempre a mantenere quell’atteggiamento freddo e distaccato “ neutrale” che supponeva il buon padre della psicoanalisi Sigmund Freud ma a far parte di te nel quotidiano e così di non avere molto tempo da dedicare alla propria vita privata. Più che chiederle qual è la vita di un terapeuta a volte vorrebbe sapere la risposta relativa al “Com’è la vita del marito di una psicoterapeuta”. A volte si sente di non dare abbastanza spazio alla sua vita privata e ad essere troppo “ dentro” ai casi in carico, altre sente che non avrebbe mai scelto un lavoro differente, probabilmente è l’unica cosa che sente di poter fare
Maria Laura è l'ospite della nostra rubrica "Donne in tailleur"
- Dandosi completamente agli altri come fai, come si riesce a rimanere se stesse? Si perde qualcosa?
Si resta se stesse quando attraverso la propria professione si esprime al meglio la
propria identità. Non potrei mai fare un lavoro migliore rispetto a quello che faccio, mi sento discreta in tante cose probabilmente perché rientrano in contesti in cui non riesco ad esprimere al meglio me stessa.
- Fai un lavoro molto delicato, maneggi la vita delle persone. Oltre a dare indicazioni, ne ricevi per te stessa?
Prima di poter svolgere la mia professione ho svolto un percorso d’analisi personale. Essere consapevoli della propria storia è essenziale per svolgere il proprio lavoro cercando di tenere a bada i propri vissuti e non mescolarli a quelli del paziente.
- Riesci a mantenere quel distacco professionale dai tuoi pazienti?
Questa risposta porta difficilmente ad una risposta netta, il lavoro di psicoterapeuta comporta la capacità di entrare nella vita di una persona mantenendo una distanza inevitabile per la buona riuscita di un percorso. Ogni storia è a se e a volte può capitare di discostarsi dall’estrema professionalità. Una delle caratteristiche che freddo siano più importanti nel mio lavoro è la flessibilità.
- Qual è il caso a buon fine che più ti ha coinvolta personalmente?
Ogni storia di un paziente è unica ed irripetibile, non vi è un caso più significativo di un altro. Ogni paziente mi ha donato un’esperienza ed è sopratutto grazie a queste che ad oggi pratico la mia professione.
- Cosa c’è di più complicato in questa professione?
Sicuramente il riuscire a trovare un giusto equilibrio tra il prendersi cura degli altri e il prendersi cura di se stessi.
- In questi anni è emersa un’emergenza psicologica. Secondo te dove sta andando la società e i suoi bisogni?
La società contemporanea è in continua evoluzione, emerge sempre più la difficoltà a gestire una frustrazione, l’età contemporanea è caratterizzata da un senso d’insoddisfazione dove ogni persona è presa dal dover rincorrere un’ideale che alla fine è irraggiungibile.
- Hai detto che la professione ti toglie molto. Che donna e compagna sei?
Una donna “umana”, accompagnata dalla sua storia e dalla sua emotività. Al di fuori della professione vi è una donna, una figlia, una sorella, una compagna e in quanto tale vivo le difficoltà che ognuno può presentare. Sono una compagna che cerca di offrire al proprio partner un tempo di qualità.
- C’è qualcosa che cambieresti di te?
Mi accodo alla risposta numero 6, in quanto a 31 anni rientro in quella che ho definito l’età contemporanea, se dovessi cambiare qualcosa di me sicuramente vorrei imparare a rallentare.
- Cosa succede ad un certo punto dell’esistenza di una persona che perde interesse per la vita?
A questa domanda preferisco non rispondere, come ho già detto, ogni persona ha il suo bagaglio e vive ogni difficoltà, compreso il dolore in maniera differente.
- Sei favorevole all'eutanasia e all'aborto?
Si sono favorevole nel caso in cui vi è una necessità e una scelta derivata da gran presa di consapevolezza.
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