Daniele Chieffi (Comunicatore):"Tutto gira intorno alla Meloni"

Felice Massimo De Falco • 8 settembre 2022

Daniele Chieffi è giornalista e docente universitario

Daniele Chieffi (Comunicatore):"Pd sulla difensiva, bene il Centro ma tutto gira intorno a Giorgia Meloni: io non credo che esista un king maker della comunicazione. Io sono convinto che il vero padrone della comunicazione è stato Draghi nel corso del suo mandato, perché col suo silenzio ha detto di più di tutti gli altri. Fascismo? Oggi si parla di sovranismo; la partita si gioca sugli indecisi, i partiti puntino qui la loro comunicazione"

Da comunicatore, quali spunti interessanti ci sono in questa contesa elettorale?


Ci sono due componenti in gioco: da una parte la sinistra che cerca la leva della chiamata alle armi, della democrazia insediata, del pericolo nero. Il Pd sta costruendo una campagna mirata alla chiamata del voto difensivo per proteggere il Paese da una minaccia. Dall’altra parte c’è uno schieramento di destra che cerca di porsi in maniera meno aggressiva di quello che la controparte racconta, sia per scacciare gli elementi che il Pd pone avanti sia per accreditarsi in mondo che non l’ha mai vista di buon occhio. Al Centro c’è il terzo polo che si è posizionato ovviamente in maniera centrale cercando di incarnare quella linea di continuazione del premier Draghi, che però ha probabilmente una capacità di “morso” meno solido, semplicemente perché è un po' centrale rispetto ai due estremi.


Come reputi la rivisitazione culturale della Meloni? E’ autentica? E’ Efficace?


Io non credo che in politica esista la parola autenticità, in politica esiste la scelta di campo, esiste puntare degli obiettivi. La Meloni ha stemperato una serie di temi e posizioni particolarmente aggressive che potrebbero nell’immaginario sociale diventare un elemento di debolezza e ha sminato gli elementi di forza della contronarrazione del Pd. Credo che sia efficace perché ha una modalità di gestione della propria immagine sia in sintonia con la sua base sia con quella base elettorale che vuole sentirsi rassicurata. E’ una scelta, dal punto di vista della comunicazione, molto intelligente.


Quindi è la Meloni la king maker della comunicazione in questo momento?


No, io non credo che esista un king maker della comunicazione. Io sono convinto che il vero padrone della comunicazione è stato Draghi nel corso del suo mandato, perché col suo silenzio ha detto di più di tutti gli altri. Non vedo un grande protagonista, è solo una comunicazione elettorale che mira a solleticare gli interessi degli elettori e i partiti la fanno con strumenti studiati a tavolino per allargare la propria base elettorale. Non vedo protagonisti, ma certo tutta la campagna gira intorno alla Meloni sia in senso positivo che negativo, ma non vedo in lei una scelta comunicativa particolarmente potente.


Come pensi che i partiti abbiano fatto passare i propri messaggi elettorali?


C’è stata molta attenzione a posizionarsi contro o per qualcosa, sminando i temi che potevano diventare lesivi e cercando di lavorare molto sull’appartenenza ideologica. La destra si è costruita un’immagine di Destra conservatrice, la sinistra ha cercato di fare l’argine ai movimenti di destra sovranisti. In questa fase c’è stato un utilizzo intelligente degli strumenti tradizionali, c’è stata una grande cura nella mimicae delle reazioni, vedi Cernobbio.

C’è stata una perdita di centralità delle operazioni sui social, se guardiamo gli investimenti che hanno fatto i partiti ci rendiamo conto che i social sono importanti ma non sono più una leva importantissima.


Parliamo di Centro. Il Terzo Polo tira per giacchetta Draghi che non si sa che farà. E’efficace indicare un premier che di fatto non c’è?


E’ efficace nel senso di scelta di metodo di governo, mi sembra naturale che il Centro abbracci la logica di un governo lontano da posizioni ideologiche e dedito al buon governo e all’efficienza. E’ una scelta tattica, non tanto una scelta che porterà effettivamente Draghi al governo. Legarsi a Draghi aiuta questa parte politica a darsi un’identità percettivo nei confronti degli elettori, specie quelli che non sono schierati.


L’annosa querelle tra fascisti e antifascisti ha motivo di esistere, ha un peso elettorale?


Ha un valore elettorale a seconda delle comunità a cui ti rivolgi. Sono parole d’ordine, ma sono utilizzate meno. Oggi si parla di sovranismo al posto di fascismo. In tal modo si ideologizza una parte senza metterla nel framework di 30 anni fa. Dunque dico che oggi l’antitesi è tra sovranisti e anti-sovranisti. Sono termini più vicini al sentire comune.


In Italia abbiamo due grandi corporazioni: gli astensionisti e gli indecisi. Come si convincono?


Gli astensionisti rifiutano il meccanismo del voto perché non vi si riconoscono più ed è difficile recuperarli perché bisognerebbe ridargli la percezione del gesto che vanno a fare. E’ una forma di protesta, esiste in tutti i paesi occidentali, ed ha profonde radici nella disaffezione del meccanismo democratico non in sé; gli indecisi, invece, sono quella parte su cui si gioca buona parte della campagna elettorale, perché sono le persone che non mettono in discussione il valore del voto ma non sanno bene a chi darlo. Allora in tal caso bisogna utilizzare parole più moderne, cercare di intercettare i bisogni e dare delle risposte. L’indeciso vuole sentirsi dire qualcosa che lo avvicina a sé. Quello che consiglio ai partiti è di costruire una comunicazione che infonda fiducia.


Come ti spieghi la revanche mediatica dei 5 Stelle?


Il Movimento 5 Stelle è un partito che nasce dallo scontento, è il partito del No; nel momento in cui è stato inserito nel sistema di governo ha perso la propria anima ma col riposizionamento di Conte che si è messo all’opposizione ha recuperato un po' di quell’anima barricadera e quindi sta facendo da attrattore a quelli che rifiutano il sistema. Sta recuperando consenso recuperando la sua anima originaria

 

 

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