Con la riduzione dei parlamentari si va verso Camere in miniatura

21 settembre 2022

Con la riduzione dei parlamentari si va verso Camere in miniatura

Al di là di chi vincerà le elezioni politiche del 25 settembre, una certezza già c’è. Il parlamento non sarà lo stesso di prima. Saranno due Camere “inedite”, dimagrite di circa il 30% dei parlamentari, quelle che si riuniranno a fine ottobre dopo il passaggio delle urne. La riforma costituzionale varata nel 2020 ha infatti ridotto dai 630 ai 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 quello dei senatori eletti, ai quali si aggiungeranno i cinque senatori a vita.


Un assetto e una configurazione inediti, con la conseguenza che si delineano degli interrogativi sull’attività parlamentare. Mentre infatti la sforbiciata risolverà gli atavici problemi di spazi di lavoro per i parlamentari e i gruppi, ci si interroga sulla funzionalità degli organismi, specie per il Senato.


L’Aula di Palazzo Madama riduce il numero delle Commissioni permanenti da 14 a 10 accorpandone alcune (Esteri e Difesa, Ambiente e Lavori Pubblici, Industria e Agricoltura, Lavoro e Sanità). E gruppi medio-piccoli avranno uno o due senatori in ciascuna commissione, il che impedirà una loro specializzazione e imporrà un maggior ricorso ai tecnici esterni e ai legislativi dei ministeri.


L’altro problema riguarda le Commissioni e gli Organi Bicamerali, come Copasir, Vigilanza Rai, Antimafia. Queste, per fare un esempio, dovranno evitare di riunirsi nel primo pomeriggio (quando non ci sono i lavori delle due Aule) in concomitanza con le Commissioni permanenti di Camera e Senato, pena il rischio di far mancare il numero legale nelle une o nelle altre. Per le Bicamerali in arrivo convocazioni all’alba o al tramonto, dunque. Tutti passaggi che saranno resi indispensabili dal nuovo assetto parlamentare deciso dalla politica. E che forse porterà con sé l’esigenza di altre riforme portanti come quella in chiave presidenziale invocata da Fratelli d’Italia o quella sulle autonomie perorata dalla Lega.


Sullo sfondo il dibattito per una nuova legge elettorale che possa dare stabilità di governo alle coalizioni vincenti. Un problema sentito da tutti gli schieramenti, tanto da far dire al governatore della Liguria Giovanni Toti di fronte al parterre di Comunione e liberazione che l’attuale legge sembra più una perversione che uno strumento di applicazione del consenso. E il Pd spiega nel suo programma che è fondamentale rendere più forte, partecipato e trasparente il sistema politico italiano. Per questo motivo , «la pessima legge elettorale con la quale andiamo a votare deve essere cambiata, perché le liste bloccate sviliscono il ruolo del parlamentare, ne condizionano i comportamenti» Da qui la proposta di nuove norme da proporre al Parlamento sin dai primi mesi della prossima legislatura per superare la frammentazione, il trasformismo, per ridurre gli effetti distorsivi sulla rappresentanza legati al taglio dei parlamentari e per favorire la costruzione di forze politiche stabili e dotate di una riconoscibile identità». Intanto però si va alle urne con le vecchie regole.


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