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Immigrazione, un ritorno al"modello Salvini" porterebbe ulteriori problemi

21 settembre 2022

Immigrazione, secondo i dati un ritorno al modello Salvini porterebbe ulteriori problemi. La reintroduzione del decreto sicurezza è uno dei punti cardine della campagna elettorale della Lega. Tuttavia nei due anni in cui è stato vigente ha causato conseguenze negative sia per i richiedenti asilo che per le comunità ospitanti.

In questa inedita campagna elettorale estiva è emersa più volte nel dibattito pubblico la questione migratoria. Ciò nonostante i numeri degli sbarchi sulle coste italiane non rappresentano un’emergenza, come abbiamo più volte raccontato.

Vai all’approfondimento Dopo un'estate di propaganda i numeri sui migranti non parlano di emergenza.

Il leader della Lega Matteo Salvini in particolare ha fatto della questione migratoria un punto cardine della sua campagna elettorale, e ha preannunciato, come presunta strategia per “fermare gli sbarchi”, la reintroduzione del decreto sicurezza. Una legge in vigore dal 2018 al 2020, nel periodo in cui Salvini era ministero dell’interno, e che è stato successivamente modificato.

Si tratta di una soluzione che già in passato si è dimostrata inefficace per le sue stesse finalità. Essa infatti crea le condizioni per una maggiore irregolarità, che è poi il problema che afferma di voler risolvere. Un fenomeno che si ripercuote sia sui richiedenti asilo stessi, che vedono violati i propri diritti fondamentali, che sulla collettività nel suo complesso, che non trae beneficio dalla presenza di persone marginalizzate, impossibilitate a ricoprire un ruolo attivo nella società.


Il dl 113/2018, anche noto con il nome di “decreto sicurezza”, rappresenta la politica migratoria interna elaborata da Salvini quando era ministro dell’interno – insieme al “decreto sicurezza bis” (dl 53/2019) che si occupava invece del fronte esterno, promuovendo una politica di chiusura delle frontiere.

Lo scopo dichiarato del decreto era appunto quello di garantire una maggiore “sicurezza”, contenendo gli sbarchi di migranti sulle coste italiane, garantendo minori diritti e favorendo espulsioni e rimpatri.

Sono state due le novità principali introdotte. In primo luogo, l’abolizione della protezione umanitaria, una forma di protezione residuale che poteva essere offerta a chi non riceveva lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria ma che al contempo non poteva essere allontanato dall’Italia per ragioni oggettive.

Questo dispositivo è stato sostituito con la cosiddetta protezione “speciale”, che consisteva nella concessione di un permesso di soggiorno per casi considerati speciali, di grave stato di malattia, di contingenze di eccezionale calamità o per atti di particolare valore civile.


Un’altra novità importante è stata lo smantellamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Lo Sprar era il luogo della seconda accoglienza ed era maggiormente orientato verso l’inclusione rispetto alla prima accoglienza, per lo più assistenziale.

Con il decreto sicurezza lo Sprar diventa il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi). La principale differenza è che in questo secondo schema i richiedenti asilo erano costretti ad aspettare nei Cas l’esito della loro domanda. Ragione per cui i Cas erano diventati una tappa obbligata. Oltre a essere centri di accoglienza straordinaria e quindi in teoria non pensati per un fenomeno strutturale e organico come i flussi migratori normali, i Cas sono anche strutture meno orientate all’inclusione. Con il passaggio da Sprar a Siproimi, la seconda accoglienza è divenuta prerogativa esclusiva di chi era già titolare dell’asilo. In altre parole il sistema ha escluso dai centri i richiedenti asilo.

Da una parte quindi l’eliminazione di una delle principali forme di protezione per i richiedenti asilo e dall’altra lo smantellamento di una parte del sistema di accoglienza il cui scopo era maggiormente volto all’inclusione dei migranti ospitati. Con conseguenze molto negative.


Le modifiche apportate dal decreto sicurezza hanno generato una maggiore esclusione e, conseguentemente, la marginalizzazione di un’ampia parte dei richiedenti asilo.

L’eliminazione della protezione umanitaria, in particolare, ha portato a un considerevole aumento del numero degli irregolari, in quanto moltissimi richiedenti hanno visto la propria domanda di asilo respinta. Una quota che risultava già elevata in precedenza (nel 2018 si attestava al 67%), ma che ha registrato in quegli anni un incremento notevole. Nel 2019 era infatti salita all’81%.


Negli anni in cui era ancora in vigore, la protezione umanitaria era accordata a una quota consistente di richiedenti asilo compresa tra il 21% e il 25%. Il ruolo della protezione speciale non ha avuto la stessa portata, arrivando a coprire un massimo pari a circa il 2% delle richieste nel 2020 (meno dell'1% nel 2019).

I numerosi richiedenti le cui domande di asilo erano rifiutate venivano poi mandati in Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), dove vengono detenuti in condizioni spesso degradanti fino al momento dell'espulsione.

Soprattutto però se consideriamo la scarsa efficacia della politica dei rimpatri (quelli effettivi ammontavano, nel 2020, al 13% degli ordini), è chiaro che si trattava di una soluzione miope, che finiva per creare una consistente fascia di popolazione che si trovava in un limbo: in Italia, ma senza la possibilità di vivere normalmente. La stragrande maggioranza di queste persone infatti si ritrovavano senza documenti, senza la possibilità di trovare una casa o un lavoro, esposte alla criminalità e alla marginalità.


A questo poi si aggiunge, come conseguenza delle modifiche apportate al sistema di seconda accoglienza, il significativo taglio dei costi di gestione dei centri. Si tratta di un altro argomento “forte” da parte della Lega e di Salvini, che hanno sempre affermato di voler combattere il cosiddetto “business dell’immigrazione”. Secondo gli annunci, il taglio dei costi per le strutture di accoglienza sarebbe servito a questo scopo. Nella realtà, però, ha ottenuto l’effetto di concentrare richiedenti asilo e rifugiati in centri di dimensioni maggiori. Il risultato è stato penalizzare i piccoli gestori, che non riescono a gestire un centro con prezzi più bassi, a vantaggio dei grandi, che al contrario operando economie di scala possono permettersi di aprire grandi centri collettivi.

Il decreto sicurezza ha quindi penalizzato il modello dell’accoglienza diffusa sul territorio, considerato più virtuoso e orientato all’inclusione sociale dei migranti nelle comunità ospitanti. Inoltre, il passaggio obbligato dei richiedenti asilo nei Cas ha limitato l’apprendimento linguistico e l’orientamento lavorativo, caratteristiche peculiari dello Sprar.

Di queste dinamiche abbiamo parlato nel dettaglio nel rapporto “Centri d’Italia, l’emergenza che non c’è“, pubblicato lo scorso febbraio insieme a ActionAid Italia.


Si sarebbe potuto approfittare del forte calo di ospiti nel sistema di accoglienza (-42% in 2 anni) per favorire l’accoglienza diffusa e ridurre le dimensioni dei centri. Invece, nel periodo in cui è stato in vigore il decreto sicurezza, il calo maggiore di posti si è registrato proprio nei centri di dimensioni più ridotte.


Con il dl 130/2020 sono state realizzate una serie di modifiche che hanno parzialmente riportato il sistema alla sua configurazione precedente.n primis, il Siproimi è stato sostituito con il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), più vicino ai principi che avevano ispirato lo Sprar. Si tratta di un impianto pensato per l'integrazione e non soltanto per l'assistenza, e accessibile sia a chi ha già ottenuto l'asilo che a chi sta ancora presentando la domanda (anche se a condizioni diverse). In questo modo, i Cas smettono di costituire una tappa obbligata del percorso del richiedente e, conseguentemente, ritornano alla loro caratteristica transitorietà.

Inoltre, il decreto introduce una forma di "protezione speciale" più simile alla precedente protezione umanitaria. Che permette l'estensione dell'asilo a una platea più ampia di richiedenti.

Si tratta di cambiamenti che sicuramente hanno eliminato alcuni degli elementi più critici del decreto sicurezza. Presentano ancora notevoli limiti (in primis l’approccio emergenziale al fenomeno migratorio), ma costituiscono comunque un passo in avanti. Tornare al decreto sicurezza vorrebbe dire annullare questo avanzamento, restaurando una situazione che favorisce illegalità, emarginazione e esclusione. E quindi, paradossalmente, meno inclusione e maggiore insicurezza per tutti. La direzione opposta rispetto ai propositi annunciati con l’introduzione del decreto sicurezza.



Dati e fonte Openpolis


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