- Uno dei mali dei penitenziari è la sovrabbondanza di detenuti nelle celle. C’è in cantiere una riforma delle carceri che vada nella costruzione di nuove strutture?
«Il sovraffollamento carcerario è una delle piaghe più preoccupanti. Sono Garante della regione in cui si trova il carcere più sovraffollato d’Italia, quello di Poggioreale. Assisto a scene che vanno decisamente nel senso contrario di un trattamento che non sia disumano e degradante. Non è forse disumano allocare i detenuti in celle dove vi sono 6-8 persone, a volte addirittura 12-13? Il sovraffollamento ha una sola possibile risoluzione, ovvero un maggior uso, da parte della magistratura di sorveglianza, di misure alternative alla detenzione, quali l’affidamento in prova ai servizi sociali, l’affidamento al lavoro»
Parla il Garante dei detenuti della Regione Campania
- Dai dati in vostro possesso quali deduzioni può trarne sullo stato delle carceri italiane?
«Non mi stancherò mai di ripetere che il sistema carcere ha fallito, perché il fine ultimo della pena, ovvero la rieducazione del condannato, non solo viene disatteso, ma addirittura assistiamo a casi in cui si genera esattamente l’effetto contrario. Il carcere, con questo volto disumano, genera altra delinquenza e questo implica che le nostre carceri saranno sempre piene, senza alcuna altra possibilità. Un carcere davvero rieducante non incattivisce»
- Uno dei mali dei penitenziari è la sovrabbondanza di detenuti nelle celle. C’è in cantiere una riforma delle carceri che vada nella costruzione di nuove strutture?
«Il sovraffollamento carcerario è una delle piaghe più preoccupanti. Sono Garante della regione in cui si trova il carcere più sovraffollato d’Italia, quello di Poggioreale. Assisto a scene che vanno decisamente nel senso contrario di un trattamento che non sia disumano e degradante. Non è forse disumano allocare i detenuti in celle dove vi sono 6-8 persone, a volte addirittura 12-13? Il sovraffollamento ha una sola possibile risoluzione, ovvero un maggior uso, da parte della magistratura di sorveglianza, di misure alternative alla detenzione, quali l’affidamento in prova ai servizi sociali, l’affidamento al lavoro»
- Quali altri aspetti contiene un eventuale riforma?
«Mi sono imposto di non sperare più in maniera assoluta in progetti di riforma. Ogni volta sembriamo ad un passo da nuovi scenari, ma puntualmente si ritorna indietro. Con il Ministro Cartabia abbiamo sperato che qualcosa potesse davvero cambiare e che immaginare un altro carcere fosse realmente possibile. Le aspettative sono sfumate e, adesso, credo che parlare di riforma del sistema penitenziario sia un azzardo. La compagine politica attuale purtroppo non ha particolare attenzione verso i detenuti. Il Ministro della Giustizia ha sicuramente un alto profilo e spero che col tempo sappia far valere le proprie idee e decida seriamente di mettere mano ad una riforma che ripensi la pena e la riporti alla sua originaria funzione, così come ripensi il diritto penale come estrema ratio»
- Compito del carcere é quello di riabilitare il condannato. Spesso non si sconta la pena e per svariate ragioni si torna a delinquere. Si é parlato di un bonus per le imprese che assumono ex detenuti. In cosa consiste?
«La risocializzazione e la rieducazione sono previste dalla Costituzione, all’art. 27, co.3. Rimettere in società chi ha commesso un reato e scontato anche una pena non è semplice e per svariate ragione, soprattutto una chiusura da parte della stessa società che dovrebbe accoglierli. È necessario un cambio di mentalità rispetto a queste persone, che hanno il diritto di un futuro diverso da quello precedente, altrimenti dovremmo arrenderci all’idea che chi sbaglia è costretto a sbagliare altre innumerevoli volte, perché diversamente non può essere. In uno stato di diritto questo non possiamo, di sicuro, accertarlo. Mi rendo conto che dare fiducia a queste persone è assai difficile, ma è uno sforzo civile che ci vede tutti interessati. Lo Stato ha pensato di creare delle opportunità attraverso la previsione di sgravi fiscali e agevolazioni per chi assume persone che vogliono riabilitarsi. Parlo della Legge Smuraglia, a cui pochi ancora ricorrono, invece rappresenta un importante punto di inizio per l’inclusione sociale»
- Le statistiche dicono che aumentano i suicidi e i casi psichiatrici. Spesso si fa fatica a curarli dentro. Ha una soluzione per la prevenzione e la cura di questa fetta di detenuti?
«Le carceri sono piene di persone con disturbi psichici, problemi di tossicodipendente e di persone sole. Il peso e la durezza del carcere spesso genera pensieri così terribili da condurre i detenuti a tentare o addirittura concludere il folle gesto. I dati sono allarmanti e va assolutamente intercettata una risoluzione, ma questo richiede investimenti, in termini di denaro e di uomini. Servono figure specializzate in grado di curare il disagio e il carcere per i malati di mente che hanno commesso reati, spesso anche gravissimi, non può rimanere il luogo prediletto. Anche su questo è necessario ripensare il carcere»
- Secondo le sue sensazioni e intenzioni, come saranno le carceri fra 20 o 30 anni?
«Se continuiamo così non cambierà niente. Probabilmente saranno investite dal progresso tecnologico. Sembreranno migliorate, ma in realtà non lo saranno»
- Si sono registrati casi di vessazioni nelle carceri. Fra tutti il caso Cucchi. Abbiano un personale penitenziario sempre all’altezza del compito?
«Il poliziotto penitenziario è la figura più vicina al detenuto, perché l’uno passa molto tempo con l’altro. Si sono registrati casi di violenza e ancora ci sono inchieste aperte per morti sospette. Credo che il personale di polizia penitenziaria debba essere aiutato, in termini di incremento. Il caso Cucchi ha portato alla luce la violenza messa in atto da chi indossa una divisa, ma questo tipo di violenza esiste da prima della morte di Stefano Cucchi e continua ad esistere, specie nelle carceri, dove il dualismo agenti-detenuti, buoni-cattivi, è molto forte e difficile da abbattere. Ricordo che in Campania è in corso il processo sulle mattanze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e che centinaia di agenti sono stati rinviati a giudizio. La prima denuncia alla Procura della Repubblica è stata presentata da me e non perché sono Garante dei detenuti, ma perché sento di essere ancora prima Garante della tutela dei diritti e, in quel caso, non solo non sono stati rispettati i diritti, ma è stata una violenza così brutale che deve essere perseguita e punita.
Non mi piace però fare di tutta l’erba un fascio: ci sono poliziotti penitenziari che prima ancora di altre figure credono nella rieducazione e collaborano in maniera pregnante alla risocializzazione del reo»
- Qual é l’antidoto più potente per non finire in carcere?
«Tralasciando i dati dei detenuti in carcere per reati associativi, e anche tra questi ci sono persone che vi sono entrati per bisogno, bisogna ammettere che la maggior parte della popolazione detenuta è composta da “poveretti”, persone che hanno iniziato a delinquere per sopravvivere alla fame, alla povertà. Basti pensare al numero degli stranieri nelle carceri. Per questo, per abbattere il tasso di delinquenza, quindi anche il numero degli ingressi in carcere, è necessario investire in politiche sociali, nel l’educazione sin da giovani. Non possiamo immaginare una società senza il carcere, ma possiamo scegliere ancora che carcere vogliamo, se una discarica sociale o un luogo funzionante è davvero rieducante»
Cosa ha lasciato l’insegnamento di Marco Pannella sul modo di trattare i carcerati?
«Marco Pannella ha sempre ribadito come il carcere è il luogo degli ultimi posto dove mettere e dimenticare i problemi sociali, con un costo enorme per tutti, però. La chiamava la nuova Shoah e chi vive le carceri sa bene che non erano esagerazioni le sue. Chiedeva amnistia e indulto ed è quello che si invoca oggi, dopo tanti anni di assenza di questi provvedimenti, per svuotare le carceri. Soprattutto però si batteva affinché le condizioni dei detenuti venissero conosciute da tutte, ritenendo che conoscere fosse necessario per creare una coscienza civile. Il suo insegnamento è eterno ed è quello che ognuno, nel proprio piccolo e con diverse attività, cerca di non dimenticare e, anzi, di incrementare»
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