- Dott. Maresca ha letto il libro del direttore Barbano sull’antimafia? La definisce macchina di dolore umano. Che ne pensa?
Il direttore ha avuto molto coraggio. Si è posto consapevolmente ed in maniera documentata contro un sistema, se possibile, ancora più pericoloso della stessa mafia. Del resto, già Leonardo Sciascia aveva intuito il rischio enorme dei “professionisti” dell’antimafia, anche se sbagliando clamorosamente sul singolo obiettivo, confondendo le capacità e la voglia di Borsellino con mania di protagonismo. Ma, purtroppo, di persone che approfittano della copertura dell’antimafia ce ne sono state e ce ne sono anche oggi. Chiariamoci: ci sono tantissime persone che ci credono e volontari che lo fanno in maniera davvero disinteressata, ma poiché girano tanti soldi, è diventato anche questo un settore molto ambito, in cui operano anche truffatori e approfittatori. Bisogna recuperare rapidamente il vero spirito della lotta alle mafie che è fatta solo di sacrificio e di impegno personale, altrimenti i danni saranno enormi
.
- Ritiene giuste le misure di prevenzione patrimoniali agli indiziati di associazione finalizzata alla corruzione?
Io ritengo giuste tutte le sanzioni che puniscano mafiosi e corrotti. Io sono per la pena certa. Questo significa che si devono dare tutte le garanzie possibili, ma se -all’esito di procedure super garantite - si viene riconosciuto colpevole si deve espiare la giusta pena. Il messaggio deve essere chiaro ed efficace: chi sbaglia paga! E paga la giusta pena, non una scontata e ridotta perché non si fanno casini in carcere o si fanno scioperi della fame.
- Tiene banco l’ipotesi di riforma della giustizia annunciata da Nordio, che è un suo collega, oltre che Ministro. Abbiamo bisogno di questa riforma?
Sicuramente abbiamo bisogno di una riforma e che serva dopo un’altra, tanto esaltata, che sta entrando in vigore a singhiozzo in queste settimane, già rappresenta un dato chiaro. Non serve una riforma così per fare, o per soddisfare solo sulla carta le richieste dell’Europa, ma una riforma seria ed efficace. Bisogna concentrarsi sui problemi veri, ascoltando gli operatori silenziosi che si sacrificano tutti i giorni. E per farla le ideologie e i preconcetti ideologici rappresentano solo un ostacolo.
- Il punto nodale è rappresentato dalle intercettazioni. Lei come le regolamenterebbe?
Io le lascerei così come sono. Interverrei solo in maniera più rigorosa sulla loro illegittima divulgazione.
La storia ci consegna alcuni esempi di utilizzo illecito che per me sono chiaramente riconducibili a dei responsabili. Se poi in questi casi ai responsabili non succede niente, il problema è del sistema che li protegge, non delle regole che vengono violate.
Non si può intervenire su una patologia, cambiando le regole che vengono violate. Sì dovrebbe invece capire perché non vengono sanzionati i responsabili. Soprattutto se, come spesso accade, i responsabili sono sempre gli stessi e la metodologia è chiaramente intellegibile.
- Cosa pensa dell’uso improprio delle intercettazioni e della perversa catena di montaggio tra certa stampa e certa magistratura?
Ecco proprio a questo faccio riferimento. Se è chiaro a tutti, o quasi tutti, cosa non funziona e dove ci sono delle deformazioni illecite, lì si deve intervenire. Con rigore e con sanzioni efficaci. Non si può buttare il bimbo con tutta l’acqua
sporca.
Cosa non avrebbe potuto fare lei, con la riforma di Nordio (quella annunciata)?
Non lo so. Con sincerità. Anche perché io ho sempre rispettato le regole e non ho mai avuto problemi di divulgazione illecita di contenuti di intercettazioni. Io ho sempre disposto intercettazioni, a centinaia nella mia carriera, per acquisire prove di reati, mai con la prospettiva di fare gossip o peggio ancora di fare favori alla politica. E non è accaduto mai neanche inconsapevolmente. In questo senso tutte le intercettazioni per me erano indispensabili a fini di giustizia. Credo che, oggi con l’evoluzione delle mafie moderne, quelle sui cosiddetti reati spia siano fondamentali, se si vuole davvero combattere la criminalità organizzata. E tra i reati spia più importanti ci sono quelli fiscali e la corruzione.
- È favorevole alla separazione delle carriere dei magistrati?
Personalmente la considero una questione secondaria. Anche qui ritengo più importanti le regole che non la natura degli interpreti. È evidente che i pubblici ministeri, appartenendo all’ordine giudiziario e quindi all’amministrazione dello Stato, saranno sempre diversi dagli avvocati. Anche oggi sono una parte del processo, ma pubblica. E non potrebbe essere differente. Questo non potrà cambiare. Ma non per questo anche ora devono considerarsi favoriti, rispetto alle altre parti del processo. Poi dipende da come si interpreta la funzione. Io non mi sono mai sognato di entrare senza bussare in una camera di consiglio di giudici. È una questione culturale più che formale. E non ritengo affatto che l’eventuale separazione delle carriere, alla quale non sono affatto contrario, possa rappresentare una soluzione dei problemi della giustizia.
- Pensa che si accenderà una nuova guerra civile tra toghe e politica?
Non più di quella che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni. Incidere sull’equilibrio costituzionale, garantito dall’ immunità parlamentare, è stata la miccia che ha fatto esplodere il conflitto. Non userei però termini così forti, le guerre sono altro. C’è un conflitto serio determinato con molta probabilità anche da una debolezza di una parte della politica e dalla capacità di un’altra parte di funzionalizzare alcuni magistrati ai propri interessi. Il caso Palamara dovrebbe essere di insegnamento.
- Lei crede che nella magistratura ci siano correnti politicizzate?
Su questo mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Per il passato sicuramente è stato così. Oggi spero che le cose possano essere cambiate.
- Qual è la sua idea di giustizia giusta?
Una giustizia che sappia pensare solo a se stessa. Cerco di chiarire. Io ho sempre pensato che la dote più importante del giudice sia l’equilibrio. Ecco per essere sempre davvero equilibrati occorre essere liberi e non condizionati, ne’ condizionabili. Una cosa che è difficilissima, soprattutto nelle società moderne. Una volta il giudice viveva e poteva farlo in una torre e non aveva contatti esterni, o quasi. Oggi questo è praticamente impossibile. Ecco che conta tantissimo la capacità di rimanere indipendenti. Su questo si dovrebbe puntare davvero. Quali sono le condizioni per assicurare davvero l’indipendenza della magistratura? Su questo proverei a trovare una soluzione seria ed affidabile
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