Sentiamo spesso associare le imprese funerarie di Pomigliano con la camorra. Un binomio che ha occupato le pagine delle cronache locali a settembre dello scorso anno, quando la Prefettura di Napoli ha emesso l’interdittiva antimafia nei confronti di quattro operatori funebri.
È lecito allora domandarsi se a Pomigliano il settore sia ancora in mano ai clan. Anche perché questa tesi viene spesso riportata dai media e tiene banco in diverse interviste.
Le mani della criminalitá organizzata nel settore delle onoranze funebri, storicamente, fondano la loro origine in una legge dello stato. Un regio decreto del 1925 stabiliva infatti il diritto di privativa a livello comunale. In pratica, in un comune poteva esserci un solo operatore. Si trattava di un vero e proprio monopolio legale. La conseguenza di questo regime normativo era che il monopolista, operando da solo, poteva imporre il prezzo che preferiva, e ovviamente era sempre molto salato. Ciò non poteva non attirare le mire di mafia e camorra, decise a mettere le mani in un business assai remunerativo. Cosi’ la presenza mafiosa nel settore delle pompe funebri è diventata una costante, nel meridione e non solo.
Le cose sono cambiate quando il quadro normativo è cambiato. La legge di riordino degli enti locali, nel 1990, ha abolito il regime di privativa comunale (anche se in effetti si è dovuto attendere un altro decennio, prima che questa abrogazione fosse sancita da una serie di pronunce giudiziarie e dell’Autoritá Antitrust). Fatto sta che oggi i trasporti funebri si svolgono in regime di completa concorrenza, la privativa comunale non esiste piú.
E di conseguenza la camorra e la mafia col caro estinto hanno finito di fare affari d’oro. Prova ne è che oggi di imprese che svolgono questo servizio ce ne sono in ogni comune piú di una, e ovunque i prezzi medi di conseguenza sono decisamente scesi, rispetto a quando per ogni paese operava una sola impresa. Ovunque, quindi anche qui a Pomigliano.
In genere di racket del caro estinto si sente ancora parlare, sui giornali e in TV, essenzialmente per i casi di infiltrazioni criminali nelle sale mortuarie degli ospedali, dove capita che il personale compiacente si accordi con qualche impresa, indirizzandole i parenti dei deceduti in cambio di qualche mazzetta. E ogni tanto le cronache riportano che qualche prefettura interdica qualche operatore, come è appunto accaduto a Pomigliano lo scorso settembre.
Ma è opportuno evidenziare che si tratta di interdittive che pur chiamandosi “antimafia” nulla hanno a che vedere coi reati, essendo provvedimenti prettamente amministrativi, basati su istruttorie documentali che prescindono dall’iscrizione nel registro degli indagati della Procura delle Repubblica.
Per quanto paradossale possa apparire, in molti casi i destinatari di queste interdittive antimafia sono incensurati, a cui carico non è in corso nessun procedimento penale. Di questa legislazione emergenziale abbiamo giá scritto qualche giorno fa, su queste pagine, e non è il caso di ripetere. Fatto sta che, tuttavia, queste interdittive prescindono del tutto dalla contestazione di qualunque reato.
Però il clamore suscitato da queste notizie è sempre notevole, perché nell’immaginario collettivo è facile richiamare il legame tra imprese funebri e clan resta. Un legame consolidatosi nei decenni passati. Un binomio che però oggi, come dimostrato da diversi casi giudiziari, trova scarsa o nulla aderenza con la realtá del crimine vero, risolvendosi in un ambito prettamente amministrativo. Con buona pace per chi vorrebbe scorgere la camorra dietro, o sarebbe meglio dire alla guida, di ogni carro funebre.
di Francesco Cristiani - avvocato
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