Calenda e Renzi, due primedonne destinatate a scoppiare

Giovanni Passariello • 18 aprile 2023

Il divorzio avvenuto in questi giorni fra Calenda e Renzi ha messo in luce in maniera evidente che la fusione a freddo di Italia Viva e Azione non è riuscita. In pratica, ha tenuto lo spazio di una elezione pur generando, tuttavia, un buon risultato: 30 parlamentari per il 7,7% dei votanti.

Analizzando gli esiti elettorali si evidenzia che le “casacche” riconducibili a Renzi sono predominanti: 19 contro le 11 di Calenda. Questo accordo, alla luce dell’attuale legge elettorale era l'unica soluzione possibile.


Il divorzio avvenuto in questi giorni fra Calenda e Renzi ha messo in luce in maniera evidente che la fusione a freddo di Italia Viva e Azione non è riuscita. In pratica, ha tenuto lo spazio di una elezione pur generando, tuttavia, un buon risultato: 30 parlamentari per il 7,7% dei votanti.

Analizzando gli esiti elettorali si evidenzia che le “casacche” riconducibili a Renzi sono predominanti: 19 contro le 11 di Calenda. Questo accordo, alla luce dell’attuale legge elettorale era l'unica soluzione possibile.

Infatti, se Azione e Italia Viva si fossero presentati separati, anche ammesso di ottenere (insieme) il 7,7%, avrebbe generato un numero di parlamentari drammaticamente ridotto, specialmente al Senato.


Ma prima vanno chiarite alcune cose che consideriamo come assunte.

Punto primo: Renzi ha una maggiore struttura, radicata nei territori, molti sindaci devono a lui l'elezione risalente al 2012-2014.

Punto secondo: Renzi possiede un’intelligenza politica in abbondanza, quanto meno se la si traguarda con il livello attualmente imperante. Ricordiamoci sempre che a lui dobbiamo la debacle di Salvini nel dopo Papeete e l'avvento di Mario Draghi dopo il disastro dei 5stelle e Conte.


Punto terzo: Renzi ha un disegno preciso in testa: raccogliere gli elettori moderati orfani (pensiamo che il dopo Berlusconi si preannuncia drammatico per Forza Italia), oltre agli scontenti e delusi rispetto alla segreteria Schlein i quali potrebbero aumentare la loro insofferenza dopo altre "trovate" geniali come, ad esempio, quella della presenza di Ruotolo in segreteria.

Dall’altro lato, c’è da sottolineare che Carlo Calenda non ha una struttura degna di nota. Egli contava su quella di Italia Viva per costruire un "Partito Unico" di cui lui fosse il leader, senza che un Congresso autentico di fondazione lo eleggesse tale. Di conseguenza, non appena ha avvertito che la leadership poteva essere contendibile non già da Renzi, ma dalla Paita, è sbroccato...


Come ha recentemente (e più volte) ammesso egli stesso, Calenda non è un politico: lo ha drammaticamente riferito da Lilli Gruber la quale, qualche sera fa, se lo è rosolato in salsa barbecue con l'aiuto del morbidissimo Severgnini e dell'affilato De Angelis.

La verità è che il “Churchill dei Parioli” ha un disegno residuale in testa: le sue dichiarazioni dopo la rottura lo vedono dialogante (potenzialmente) con Schlein e con i 5 Stelle, in una ipotesi di Centro Sinistra cara a Prodi e a tanti suoi coevi.

Alla luce di tutto ciò si percepisce con estrema chiarezza il grande limite di questa “fusione a freddo”.

Ma, a questo punto, quali sono gli scenari che si possono delineare?


In primo luogo, se la legge elettorale rimane così com'è, Italia Viva e Azione, alle prossime politiche, sono destinate a doversi presentare ancora assieme senza ovviamente confluire in un "Partito Unico"

Se invece si opterà per una modifica alla legge elettorale con soglia di sbarramento al 3% sarà competizione serrata tra i due contendenti: roba da Ok Corral.


Al contrario, con una soglia al 5% la prudenza spingerà a crearla questa nuova entità, proprio per evitare di passare da una forma partitica a un mero movimento d'opinione. A quel punto è fortemente in dubbio che la guida possa essere lasciata a uno piuttosto che all'altro.

In ogni caso l'operazione volta a creare un "terzo" polo è fallita, e ciò a prescindere dalle spiccate personalità dei due leader.


di Giovanni Passariello


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