- Avv. Senese, tiene di nuovo banco la querelle tra politica e magistratura dopo le parole del Ministro Nordio. Intanto che ne pensa della linea tracciata dal ministro?
Almeno nelle intenzioni il ministro Nordio cerca di introdurre elementi di equilibrio in un sistema giustizia avvelenato da decenni di giustizialismo sfrenato. Giustizialismo cavalcato da partiti politici dell’intero arco costituzionale, sinistra compresa, con una grave perdita di valori fondanti la Carta costituzionale. In questo senso le proposte di intervento su temi sensibili quali intercettazioni e separazione delle carriere mi paiono interessanti, anche se resta da vedere come le modifiche verranno poi strutturate in concreto.
- Cosa pensa dell’uso improprio delle intercettazioni e della perversa catena di montaggio tra certa stampa e certa magistratura?
Sulle intercettazioni occorre dire che va sicuramente posto un freno al ricorso allo strumento delle captazioni “a strascico”, intercettazioni che di fatto si traducono nella ricerca di notizie di reato anche laddove non vi erano concreti spunti investigativi. Mi preoccupa non poco il continuo distinguo tra reati che si agita nel dibattito politico per tacitare i dissensi, dal momento che si rischia in questo modo di alimentare a dismisura la cultura del doppio binario che troppo spesso vanifica i diritti di moltissimi indagati. La lotta alla criminalità organizzata è una priorità, ma non si può in nome della lotta alla mafia travolgere ogni garanzia. Occorre un sistema di contrappesi ed un effettivo bilanciamento tra valori costituzionali antagonisti.
- Nordio non toccherebbe le intercettazioni riguardanti la criminalità organizzata. Ma in tal modo la farebbero franca i colletti bianchi?
Trovo inoltre gravissimo il silenzio sulle intercettazioni tra avvocati e indagati, che è fenomeno ancora troppo diffuso e denota una scarsa considerazione del diritto di difesa. Di fatto l’opinione pubblica associa troppo spesso gli avvocati ai loro assistiti e questa semplificazione è anche il frutto del fallimento del sistema processuale accusatorio, secondo il quale avvocati e pubblici ministeri sono parti contrapposte che dovrebbero avere una piena parità delle armi.
La separazione delle carriere in questo senso potrebbe portare alla realizzazione del principio di terzietà del Giudice rispetto alle parti processuali.
- Cosa pensa del caso Cospito?
Il caso Cospito credo che lo sciopero della fame dell’ anarchico abbia avuto il merito di richiamare l’attenzione su un tema, il carcere ed il regime detentivo speciale ex art. 41 bis o.p., troppo spesso ignorato. Gli addetti ai lavori sanno bene che in Italia il carcere è una realtà dove si trovano ristretti per lo più gli emarginati ed i soggetti socialmente ed economicamente più deboli.Si è persa completamente l’idea della funzione rieducativa della pena, i partiti politici - inseguendo le istanze più propriamente securitarie- hanno lasciato che proliferasse la cultura del carcere come luogo di punizione e segregazione fine a se stesso. Con la conseguenza che i detenuti non avvertono nemmeno più loro stessi il senso della detenzione. Non dimentichiamo che solo una pena proporzionata e percepita come giusta può costituire la base di partenza per quel percorso psicologico di rieducazione e recupero cui il carcere deve tendere.
Il 41 bis o.p. è poi diventato uno strumento vessatorio finalizzato non più a recidere i contatti, attuali e concreti, di soggetti pericolosi con i loro complici rimasti all’esterno del carcere, ma a creare un surplus di afflittività, spesso gratuita, che vanifica il diritto alla speranza dei detenuti e li rende potenzialmente sensibili a forme di collaborazione con la giustizia.
- Matteo Messina Denaro godeva di uno scudo sociale vasto che gli ha consentito una latitanza di 30 anni. La mafiosità è insita nella cultura popolare?
Non credo che gli italiani siano permeati di una cultura popolare mafiosa, anzi. Il lavoro fatto nelle scuole e nelle associazioni, soprattutto in territori deprivati, ha creato una nuova cultura dell’antimafia: sempre più spesso le nuove generazioni valorizzano le politiche della inclusione e della cultura quale strumenti necessari per superare le forme di emarginazione nelle quali la criminalità senza dubbio prolifera.
Insomma, la criminalità si combatte con scuola, istruzione ed opportunità economiche, non solo con il processo penale.
- È giusto dire come fanno in molti che la magistratura ha soppiantato la politica, sottomettendola al suo volere usando la scure del suo vasto potere?
La magistratura italiana ha avuto il merito in passato di farsi portatrice di istanze che la politica non era stata in grado di cogliere, pensiamo ai diritti di creazione giurisprudenziale ed ai temi bioetici su cui il Parlamento non ha trovato la forza di legiferare. Il problema è che questa supplenza ha creato un corto circuito: i cittadini si sono identificati sempre meno nei loro rappresentanti, ovvero nella classe politica, e sempre di più in un potere che è del tutto privo di legittimazione democratica. Occorre tornare ad una piena reciprocità tra istanze sociali, funzione giurisdizionale e rappresentanza politica.
In questo senso andrebbe a mio avviso recuperata una idea di collettività che discute e delinea le progettualità politiche del paese in Parlamento e solo in un momento successivo riconosce una centralità alla giurisdizione.
- Qual è la sua idea di giustizia giusta?
Innanzitutto un diritto penale minimo, realizzato attraverso una robusta depenalizzazione dei reati. Individuazione di criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale uniformi sul territorio nazionale e non lasciati alla discrezionalità delle singole procure. Riforma del gratuito patrocinio con accesso effettivo ad una difesa di qualità anche per i non abbienti
- Quali difficoltà incontra nell’applicare le disposizioni della riforma Cartabia?
Quanto alla Cartabia, va fatta una premessa. Trovo che il processo penale digitale sia estremamente pericoloso, perchè la digitalizzazione si traduce non solo in uno strumento che potenzia l’efficienza, ma anche in un modo di produzione del diritto stesso. Ma si tratta di un tema estremamente complesso.
Certamente mi spaventano quelle norme della riforma che hanno reso definitivamente possibile la perdita del “respiro” del processo: le udienze videoregistrate consentiranno ad un giudice che non ha ascoltato i testimoni, ovvero non ha raccolto la prova, di emettere un verdetto. Certamente sarà un processo più veloce, ma quanto giusto?
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