- Sembra che il contesto politico si sia polarizzato. La sfida è destra/sinistra. Chi la sta spuntando, al netto dei sondaggi?
«Credo che il centrodestra riuscirà a tagliare il traguardo senza particolari patemi d’animo. La campagna elettorale è davvero breve per immaginare un’inversione di tendenza, del resto esclusa dai sondaggisti, e non vedo all’orizzonte, nel campo del centrosinistra, l’articolazione di proposte miracolose capaci di fare breccia nel popolo degli indecisi e di ridurre in modo significativo il divario con il principale schieramento avversario. Meloni, Salvini e Berlusconi devono solo gestire il loro vantaggio come coalizione, evitando scivoloni che possono infiammare oltremisura il confronto. Chi ha in mano il pallino del gioco, dovrebbe capire che è nel suo interesse mantenere i toni bassi».
- Ha senso un Centro in Italia?
«Bisogna intendersi sul valore delle definizioni, e sul senso politico delle parole. Le elezioni si vincono al centro, sentiamo ripetere ogni volta. Ma cosa vuol dire? Stare al centro, negli anni della “Repubblica bipolare” governata dal maggioritario, ha significato molto spesso offrire il puntello a maggioranze fragili nei numeri parlamentari in cambio di posti di governo e sottogoverno. E questo è avvenuto a scapito delle proposte programmatiche, anzi ha contribuito alla desertificazione ideale che abbiamo davanti gli occhi. Eppure, alcune settimane fa, sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco, affrontando la questione dal punto di vista delle dinamiche sistemiche, ci ha ricordato che il “centro” è il luogo della moderazione e del pragmatismo, e che il restringimento di quel perimetro comporta un rischio in termini di funzionamento e tenuta della democrazia, insidiata dai “bollenti spiriti degli estremisti”, di sinistra e di destra».
- Chi è Giorgia Meloni?
«La leader di un partito che alle elezioni del marzo 2018 ha raccolto poco più del quattro per cento dei voti, e che in una legislatura segnata dal valzer delle alleanze, nel corso della quale sono saltate le coordinate strategiche dei partiti, ha saputo mantenere ferma una prospettiva politica. In questi cinque anni, la Meloni si è mossa lungo il sentiero della coerenza, e tutto ciò adesso sta pagando, riflettendosi positivamente negli indici di gradimento e popolarità. Sull’approccio alle tematiche della politica internazionale, pur restando dei nodi da sciogliere in merito al rapporto con l’Europa, va segnalata la mancanza di tentennamento nel condannare l’invasione russa dell’Ucraina, schierandosi dalla parte della comunità filoatlantica e sostenendo l’approccio del governo italiano».
- Chi è Enrico Letta?
«Un uomo al quale il Partito democratico dovrebbe essere riconoscente. Nel 2014 i suoi compagni di partito lo hanno estromesso in malo modo dalla presidenza del Consiglio, alcuni anni dopo è stato richiamato in servizio per risollevare le sorti di un PD fermo in mezzo al guado identitario, che non ha ancora deciso cosa voler diventare da grande. A differenza della Meloni, Letta non ha il profilo del politico che infiamma le piazze, eppure non sta lesinando sforzi per giocare una partita che in tanti danno già per persa. Se il Partito democratico dovesse riuscire nell’impresa di superare Fratelli d’Italia nel conteggio finale dei voti, non escludo che possano aprirsi scenari clamorosi nel medio-lungo periodo, a seconda delle turbolenze che rischiano di minare la stabilità della prossima legislatura. Quale che sia il risultato elettorale, comunque, credo che il segretario finirà per passare la mano, la gestione delle candidature ha creato moltissimi malumori sui territori, nuovi dirigenti bussano alla porta e reclamano la convocazione del Congresso...».
- E Calenda e Renzi?
«Sono due politici inconciliabili a livello caratteriale, che le rispettive debolezze numeriche obbligano a stare insieme. Certo, hanno l’opportunità di attrarre una quota di elettori che non si riconosce nelle proposte degli schieramenti di centrodestra e centrosinistra, ma la domanda da porsi, più che sulla consistenza del risultato che uscirà dalle urne, è quella relativa all’orizzonte temporale del loro esperimento, alla durata del progetto politico».
- Quanto Sud c’è nei programmi elettorali?
«Nell’elenco dei punti programmatici qualificanti c’è davvero poco spazio per le problematiche del Mezzogiorno, la mancanza di impiego, il degrado del territorio, l’inefficienza della struttura amministrativa. Ѐ un silenzio assordante, che disorienta».
- Su quali temi si vince?
Credo che gli italiani non si facciano illusioni, il contesto generale non induce all’ottimismo. La mia impressione è che stia emergendo, più di altre volte, un desiderio di sentirsi rassicurati, e che per questo si valutino con fastidio le promesse mirabolanti che pure non mancano. Il versante economico, naturalmente, inciderà sugli orientamenti di voto e la questione energetica, più di ogni altra, è destinata a segnare il dibattito delle settimane che ci separano dall’apertura delle urne».
- Quali fattori non politici potrebbero orientare il voto?
«Non credo che a questo punto gli orientamenti possano mutare in maniera significativa per effetto di dinamiche extrapolitiche. Ma non sottovaluto il peso che l’inasprirsi delle tensioni internazionali, con annesso mutamento degli equilibri geopolitici, potrebbero avere in un futuro non lontano. Si pensi, giusto per fare un esempio, agli effetti minacciosi di un perdurare del conflitto sul fronte ucraino per il quadro economico globale, che andrebbero naturalmente a colpire i Paesi più poveri, in primo luogo quelli africani, esposti al rischio di una crisi alimentare che potrebbe innescare pericolose derive destabilizzanti che si rifletterebbero negativamente sulla coesione stessa degli Stati europei».
- C’è crisi di rappresentanza sia a destra che a sinistra. Come lo spieghi?
«Quello della crisi dei meccanismi di rappresentanza è un fenomeno antico, che affonda le radici nei decenni precedenti, assumendo connotati involutivi che i processi di trasformazione sociale e di integrazione sovranazionale si incaricheranno poi di rendere manifesti. Ѐ un fenomeno riscontrabile su larga scala, eppure acuito, entro i confini italiani, dalle dinamiche stesse che hanno contraddistinto il paradigma evolutivo della nostra democrazia “difficile”, per tanti versi “incompiuta”, imperniata sul ruolo e sulla funzione egemone dei partiti di massa che progressivamente hanno visto erodersi il loro potere e la loro indiscussa centralità. Analizzata da questo campo di osservazione, l’esperienza del governo Draghi si rivela una grande occasione mancata: con le redini dell’esecutivo affidate nelle mani di un presidente “tecnico”, i partiti avevano l’opportunità di ridefinire i loro connotati organizzativi e ideali, nel tentativo di riappropriarsi delle categorie necessarie a leggere la modernità e a porsi in sintonia con le articolazioni dinamiche della sfera sociale. Nulla di tutto ciò è avvenuto, e pertanto non può essere un caso che l’offerta politica si ripresenti adesso sotto forma di coalizioni ad alto tasso di disomogeneità interna, tenute insieme solo dalla necessità di vincere il confronto elettorale, con tutte le conseguenze negative che potrebbero derivarne – a prescindere da chi avrà l’onere di guidare il Paese – in termini di stabilità ed efficacia futura dell’azione di governo».
- Il 26 settembre entreremo nella Terza Repubblica?
«Perché, siamo mai davvero usciti dalla prima Repubblica?».
ANDREA SPIRI svolge attività di docenza presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università LUISS “Guido Carli” di Roma. Già Consigliere per le tematiche culturali del ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale nel biennio 2017-2018, e consulente della Struttura di missione per il supporto alle iniziative del governo italiano in materia di riforme costituzionali, ha ricoperto l’incarico di Responsabile scientifico della Fondazione Alcide De Gasperi. Relatore nel corso di numerosi Convegni tenuti in ambito nazionale e internazionale, in questi anni ha approfondito con i suoi studi diversi passaggi della storia italiana recente. Tra le sue ultime pubblicazioni, le monografie The End 1992-1994. La fine della prima Repubblica negli Archivi segreti americani (Baldini+Castoldi, 2022); La seconda Repubblica. Origini e aporie dell’Italia bipolare (Rubbettino, 2021); L’ultimo Craxi. Diari da Hammamet (Baldini+Castoldi, 20202); e i saggi in volumi collettanei Carlo Azeglio Ciampi: la pedagogia civile repubblicana e il nuovo patriottismo europeo (Viella, 2022); Il settennato di Cossiga e la crisi della Repubblica (il Mulino, 2022); Il dilemma europeo dei socialisti italiani (Edizioni Università per Stranieri di Siena, 2020); L’iniziativa parlamentare in materia di «democrazia governante»: il ruolo e le proposte delle Commissioni bicamerali (Biblion Edizioni, 2019). Di prossima uscita, per i tipi di Carocci, L’America di Clinton all’alba del nuovo millennio. Il rapporto con l’Europa e l’allargamento della Nato a Est.
Testata Giornalistica con iscrizione registro stampa n. cronol. 1591/2022 del 24/05/2022 RG n. 888/2022 Tribunale di Nola