D: Dott. Mingardi, che idea si è fatto a poco meno dei 100 giorni del governo Meloni? Ha un’impostazione liberale?
R: Non avevamo mai votato, in autunno, nella storia della repubblica. Adesso abbiamo capito perché: appena intascata la fiducia, il governo ha dovuto mettersi al lavoro sulla legge di bilancio, a partire soprattutto da quanto lasciatogli dell’esecutivo precedente. In questi primi cento giorni, Meloni ha dovuto soprattutto portare in porto la legge finanziaria. E si è poi adoperata per costruire rapporti internazionali più solidi, smentendo lo scetticismo epidermico di molti leader sul nuovo governo italiano. Non è però chiarissimo quale direzione prenderà il governo: la questione di cui si è parlato di più è stata la giustizia, grazie al ministro Nordio. In quell’ambito, abbiamo avuto molte dichiarazioni liberali, da parte di Nordio, e qualche provvedimento poco liberale, come il decreto Rave
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D: Giorgia Meloni finora non ha impresso il suo marchio, si muove sulla scia di Draghi. Quando vedremo la vera destra conservatrice?
R: Meloni si muove sulla scia di Draghi in politica internazionale, un terreno sul quale il governo di un Paese periferico come l’Italia non può incidere granché, soprattutto in un momento come questo nel quale la superpotenza americana ha richiamato all’ordine tutti i Paesi Nato. In altri ambiti, mi pare che qualche cambiamento significativo ci sia stato. In particolare, Meloni ha cambiato registro sulle questioni di finanza pubblica, archiviando la retorica del PNRR come panacea e ricordando agli elettori che ci muoviamo in un contesto delicato, nel quale è bene non indebitarsi ulteriormente. Rimuovendo gli sconti sulle accise ha agito con responsabilità, dimostrando di avere presente che l’emergenza energetica esige politiche calibrate e non spese pazze. Spostando il reddito di cittadinanza dall’Inps ai Comuni ha fatto un passo importante.
D:Intanto la premier gode della fiducia dei sondaggi. Alla lunga sarà in grado di preservare questo patrimonio elettorale?
R: E’ difficile fare previsioni. Gli elettori italiani si innamorano facilmente e altrettanto facilmente si disinnamorano: pensi a Renzi e Salvini, amatissimi dagli elettori un tempo e ora praticamente radioattivi.
D: Sarà una stagione di riforme?
R: Verrebbe da dire: se non ora, quando. Il centrodestra è in una posizione ideale. Ha una solida maggioranza alla quale non c’è alternativa, perché il perno dell'alternativa di governo, il PD, si sta sciogliendo come neve al sole. Ma per fare delle riforme bisogna, prima, avere un’idea delle riforme da fare...
D: Qual è il tema che maggiormente deve essere trattato per avere un’economia liberista?
R: Da questo governo ci si dovrebbe aspettare un diboscamento normativo, per rendere un po’ più “libera” la libera impresa, e soprattutto una riduzione della pressione fiscale, che è la promessa elettorale ricorrente del centro-destra. In quest’ultimo caso, però, non bastano più tagli estemporanei: il fisco è talmente complesso e aggrovigliato che c’è bisogno di una riforma radicale.
D: Quella sulla giustizia, per ora solo annunciata, fa molto discutere. Sarà abile il governo a non imbracciare una sfida con la magistratura come fu con Berlusconi?
R: La sfida con la magistratura è diventata inevitabile nel momento in cui Meloni ha scelto per la giustizia Carlo Nordio, il quale è sommamente inviso ai suoi ex colleghi. Il problema non è tanto lo scontro di per sé, quanto quello di riportare, in quello scontro, qualche vittoria.
D: Lei che idea ha sulla regolamentazione delle intercettazioni?
R: Che in Italia ci sia un abuso delle intercettazioni, come ha detto il ministro Nordio, mi pare evidente. Quell’abuso è poi esacerbato dalla relazione diciamo, con un eufemismo, troppo stretta fra settori della magistratura e alcuni mezzi d’informazione. Abbiamo letto troppe intercettazioni che non avremmo mai dovuto leggere - e ci siamo dati di gomito perché ormai siamo abituati a gustarci i dettagli, anziché riflettere sulla loro legittimità.
D: Un cenno al Pd alle prese col congresso: servirà a sanare i mali di questo partito?
R: Mi sembra che la crisi del PD sia una strada senza uscita. L’idea originaria, quella di un partito “a vocazione maggioritaria”, che può contendere elettori al centrodestra, è morta e sepolta. Si confrontano due idee di PD: un partito radicato territorialmente al centro oppure un partito di sinistra-sinistra, in posizione ancillare rispetto ai Cinque stelle.
D: Chi è più indicato e perché secondo lei a portare il partito fuori dal guado e a dargli una direzione?
R: Non sono un militante del PD. Vista da fuori, la sua crisi mi sembra irreversibile.
D: Intanto Conte gongola: è lui l’anti Meloni?
R: Sotto molti punti di vista. Meloni è una politica di carriera, lui un avventizio della politica. Lei cerca di imbrigliare le pulsioni populiste dei suoi, lui di scatenarle. Può non piacere, e a me non piace, ma Conte ha dimostrato di essere un talento politico: guidando due governi di segno pressoché opposto, reagendo di volta in volta alle trappole che gli venivano tese, infine riuscendo a fare dei Cinque stelle il “partito del Sud”. Oggi è l’unico leader che abbia l’opposizione. Se fossi un politico, è un avversario che non sottovaluterei.
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