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Aborto. Diritto di scelta declassato

Jessica Vitagliano • 4 agosto 2022

Aborto. Diritto di scelta declassato

II 24 giugno 2022 ovvero quando la Corte Suprema Americana si è pronunciata sul caso Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization, è stata di fatto esclusa nei singoli Stati Americani, la tutela federale riconosciuta in tema di scelta sull’interruzione della gravidanza, determinando quindi, la piena libertà per i detti Stati di legiferare in materia di aborto volontario in ordine al presupposto che non esista in realtà una tutela costituzionale del diritto di aborto.  

La decisone citata, costituisce un’aperta inversione di tendenza rispetto alla statuizione precedente concernente il caso Roe contro Wade, a mezzo della quale, la Corte Suprema con sentenza emanata nel gennaio del 1973, in virtù del quattordicesimo emendamento, aveva riconosciuto la sussistenza del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, fino al momento in cui il feto non sia in grado di sopravvivere in maniera autonoma al di fuori dell’utero materno e, la possibilità di abortire anche al di là di questi limiti, qualora sussista un pericolo di vita per la donna.


Gli effetti della decisione assunta il 24 giugno del 2022 negli Stati Uniti d’America sono stati immediati, in quanto, in virtù della stessa, si è subito concretizzata la possibilità, già utilizzata da alcuni Stati, di negare l’aborto e di conseguenza comprimere in maniera inaccettabile il diritto di scelta di ogni singola donna.

Considerati gli effetti innanzi riportati, appare ovvio che la decisione abbia suscitato un ampio dibattito nel web, sui social, blog e forum, e pertanto, occorre fare chiarezza sia sulla matrice giuridica e politica del diritto all’aborto che sui riflessi sociali che tale decisione ha determinato anche in Italia.


Va subito precisato che la decisione della giustizia americana e le conseguenze prodottesi, costituiscono un clamoroso passo indietro in ordine alla garanzia dei diritti civili e, siccome tale decisione proviene proprio da quella Nazione che da sempre è considerata un baluardo delle libertà individuali, da subito si è tentato in qualche modo d’innescare un dibattito in tal senso anche nel nostro paese.

A tal riguardo in Italia, sono stati espressi pareri anche di autorevoli giuristi, i quali, non hanno mancato di negare l’esistenza stessa del diritto all’aborto, negandogli una matrice costituzionale o addirittura operando una lettura parziale della legge istitutiva del diritto all’interruzione della gravidanza.


Date le considerazioni innanzi esposte, quindi, è opportuno preliminarmente operare una breve ricostruzione storica evidenziando che nel 1975, in Italia, la Corte Costituzionale, pur riconoscendo l’importanza della tutela del concepito, ha ammesso la possibilità del ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza, solo per motivi molto gravi. Fino a quel momento l’aborto era considerato reato (con l’ipotesi di 4 anni di carcere) e la soluzione pratica del problema, era affidata o a persone del popolo prive di conoscenze mediche scientifiche o a medici che agivano nell’illegalità; fino ad allora, morivano sì tanti bambini prima di nascere, ma anche tante mamme prima di diventare tali. Dopo questa sentenza, un ampio e allargato movimento parlamentare si è attivato per l’approvazione della legge n. 194/1978, pubblicata il 22 maggio; legge denominata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” che ha resistito anche ai successivi tentativi referendari dei movimenti cattolici.


Ancora oggi, gli irriducibili anti abortisti, anche con argomentazioni di tipo giuridico oltre che sociologiche e religiose, evidenziano l’inesistenza di un vero è proprio diritto all’aborto, argomentando che non possa esistere un diritto all’ ”uccisione”.

In realtà, la legge richiamata, come quasi sempre avviene, non rappresenta altro che la tipizzazione ovvero la cristallizzazione in un precetto giuridico, di un’ esigenza sociale, già avvertita decenni prima e che la politica, soprattutto quella di matrice cattolica, ma non solo, ha sempre fatto fatica ad accettare nonostante la casistica ponesse all’attenzione della collettività, fatti che nella loro crudezza, non avrebbero mai potuto giustificare una limitazione della libertà di scelta della donna.


Pertanto, sono a dir poco sorprendenti le affermazioni operate nell’immediatezza della citata pronuncia, da eminenti giuristi anche donne, le quali, hanno sottolineato che il diritto all’aborto non esiste e, con la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, si sia solo legalizzato ciò che prima era vietato.

Orbene le argomentazioni innanzi riportate, appaiono fallaci sia sul piano sociologico che giuridico e le stesse sono frutto di un retaggio di matrice religiosa che appare ampiamente superato dall’evoluzione e dalle esigenze della società civile.

Tralasciando il confronto tra le argomentazioni sociali, politiche e religiose di una parte e dell'altra, che di certo non potrebbe essere limitato a queste poche righe, è opportuno che ci soffermi sulle argomentazioni giuridiche; ebbene chi riferisce dell’inesistenza di un diritto all’aborto e dell’impossibilità di connotarlo con una matrice costituzionale, pone in essere un’argomentazione giuridica parziale ed assolutamente non corretta infatti, la legge n. 194/1978 espressamente riconosce alla donna la possibilità d’interrompere la gravidanza in limitati casi e pertanto, contrariamente a quanto dedotto, esiste un diritto all’interruzione volontaria della gravidanza ed inoltre, esso trova la propria matrice costituzionale negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione i quali rispettivamente tutelano i diritti inviolabili, la libertà personale ed il diritto alla salute.


In sostanza, la donna prima di essere madre è una persona ed in quanto tale, deve essere tutelata nella propria libertà di scelta, anche eventualmente, quella di non diventare madre che, in alcun modo può essere sottoposta al giudizio limitativo dell’Ordinamento Giuridico almeno fino a quando tale diritto, non contrasti con altri diritti inviolabili ugualmente meritevoli di tutela.

Sul punto va riferito che la legislazione italiana, risulta più limitativa della liberta di scelta della donna rispetto ad altri stati anche limitrofi al nostro, i quali prevedono che la scelta all’interruzione della gravidanza, sia un diritto della donna non limitabile almeno fino a quanto il “ frutto” della gravidanza non abbia la possibilità di vivere autonomamente, e quindi, è riconosciuto un diritto di scelta della donna che va ben oltre le 12 settimane “ concesse” dal nostro ordinamento giuridico.

Per la giustificazione sociale di tale diritto, potrei portare all’attenzione del lettore una casistica infinita, che andrebbe, dalla gravidanza conseguenza di uno stupro di una bambina di dieci anni( anche recentemente una sentenza in Paraguay ha negato in tal caso il diritto all’aborto), alle donne maltrattate in famiglia, alle 15enni che per errore sono improvvisamente costrette a cambiare la loro vita soffocando i propri sogni e uccidendo il proprio futuro, ma queste, sarebbero argomentazioni troppo facili, e forse alquanto scorrette, in quanto, focalizzate su casi che indubbiamente avrebbero il sostegno del lettore, e, operando in tal senso, utilizzerei lo stesso metodo degli anti abortisti, che calcano la mano con esempi che, al di fuori di ogni evidenza scientifica, fomentano dubbi con l’equiparazione tra l’embrione e la persona.  

In realtà non si deve convincere nessuno che la donna è in “primis” una persona, e quindi, in quanto tale, possa liberamente scegliere cosa diventare e soprattutto possa farlo attraverso un sistema governativo che si faccia garante di questa libertà, promuovendo un senso di responsabilità comune e personale che tenga conto del diritto alla vita così come del diritto alla morte.


Nessun uomo e nemmeno nessuna donna può limitare tale diritto e, lottare perché gli altri abbiano la possibilità di operare una scelta che magari non si condivide, appare un principio cardine di uno stato democratico il quale, non può in alcun modo limitare le libertà e di conseguenza, l’autodeterminazione delle donne.

Appare davvero paradossale riscontrare che in una società avanzata come la nostra orientata verso la parità di genere, ci si trovi ancora a dibattere su certi argomenti, i quali non fanno solo male alle donne, ma anche a coloro, che a prescindere dall’argomento, credono in una società fondata su diritti e doveri che progredisca favorendo lo sviluppo delle libertà e dell’autodeterminazione, rimuovendo in tal senso eventuali ostacoli derivanti da retaggi culturali o religiosi.


Tuttavia ogni volta che le donne si trovano a scegliere se portare avanti o meno una gravidanza, si trovano in un momento delicato e sofferto, che dovrebbe prevedere il sostegno e non la gogna della collettività; purtroppo però il più delle volte, nonostante il momento sia così travagliato, le donne sono lasciate sole con il loro dolore anzi, ancora oggi nel 2022, sono sottoposte ad umiliazioni nonché all’ipocrisia dei giudizi umani che nella maggior parte delle volte provengono dagli uomini che fanno dell’aborto un gioco politico. Tutto questo non è tollerabile in quanto non dobbiamo dimenticare : “ Che a restare incinte siamo noi donne, che a partorire siamo noi donne, che a morire partorendo o abortendo siamo noi. E che la scelta tocca dunque a noi. A noi donne. E dobbiamo essere noi donne a prenderla, di volta in volta, di caso in caso, che a voi piaccia o meno. Tanto se non vi piace, siamo lo stesso noi a decidere. Lo abbiamo fatto per millenni. Abbiamo sfidato per millenni le vostre prediche, il vostro inferno, le vostre galere. Le sfideremo ancora.” ( Oriana Fallaci, dibattito televisivo sull’aborto, 1976).

 

 

 

 

 

 

 


Jessica Rosa Vitagliano, avvocato civilista.


È un avvocato iscritto presso il Foro di Napoli Nord, si occupa di diritto di famiglia, diritto minorile, responsabilità sanitaria, diritto del lavoro e diritto amministrativo.

Iscritta nell'elenco dei difensori abilitati al patrocinio innanzi al Tribunale per i minorenni. 

Ha conseguito due lauree: in Giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli ed in Scienze Economiche; ha altresì conseguito un Master di secondo livello in diritto Amministrativo nonché un corso di Alta formazione, organizzato dalla Regione Campania sul tema delle pari opportunità. 

Autrice di diversi articoli scientifici e coautrice del testo della Giuffrè intitolato: "RESPONSABILITÀ SANITARIA E SANITÀ RESPONSABILE".


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