In che cosa credono i giovani di oggi? Quanto è diffuso tra loro il sentimento religioso e quali forme esso assume nelle diverse fasi della crescita? Quanto incide l’esperienza religiosa nella loro vita e perché si allontanano o avvicinano ai riti della religione tradizionale e ai luoghi (es. parrocchie e oratori) dove questa assume una connotazione comunitaria? E ancora: quanto è corretto parlare di generazione “post-cristiana” o di de-secolarizzazione e risveglio religioso?
Per rispondere a queste domande è necessario adottare una visuale che non consideri in maniera astratta il rapporto tra giovani e religione, come se quest’ultima fosse un’entità lontana, ma piuttosto che parta “dalla realtà religiosa vissuta, da ciò che donne e uomini sperimentano nella loro vita quotidiana”.
Per troppo tempo, in ambito pastorale ed educativo, si è insistito solo sul “dover essere religioso” perdendo di vista l’uomo concreto e le espressioni storico-sociali della religiosità. Per troppo tempo si è educato prestando più attenzione al fondamento e alle riflessioni sulla natura umana piuttosto che al “fenomeno” come se quest’ultimo fosse trascurabile e ci si potesse concentrare sul punto di arrivo senza avere ben chiaro il punto di partenza o, in altri termini, guardare al modello ideale senza ben riflettere su mezzi e condizioni per raggiungerlo. Ancora oggi prevale in molti adulti investiti di responsabilità educativa l’idea che per educare i giovani alla sfera religiosa sia sufficiente tornare a quanto fatto e vissuto al tempo in cui si aveva la loro stessa età, e che le ricette del passato (spesso proprio in quanto tali) siano sempre e comunque valide, astraendo così dalla presa d’atto dei profondi cambiamenti che hanno riguardato il mondo giovanile negli ultimi decenni.
Altro atteggiamento diffuso è la negazione, tipico meccanismo difensivo che porta a sminuire il problema o a considerarlo il prodotto di studi poco attendibili realizzati da attempati ricercatori. Queste prassi hanno alimentato l’incomunicabilità tra le generazioni e accresciuto le difficoltà di molti contesti sociali ed ecclesiali ad aprirsi e a stabilire un reale rapporto con i giovani, essendo completamente scollegati dalla “mutazione antropologica” che li sta interessando. Dobbiamo invece riconoscere che il livello empirico è a suo modo indispensabile per comprendere la condizione giovanile e va inteso in maniera integrata e dinamica con quello teorico. Esaltare un livello di comprensione a discapito dell’altro significa infatti imprigionare i tentativi di comprendere l’espressione religiosa dei giovani in cornici estremamente limitate e alimentare prassi ormai inefficaci.
All’interno di questa prospettiva, l’esigenza di un recupero di attenzione per il vissuto effettivo e le azioni concrete richiede di analizzare, in modo integrato, alcune dimensioni in cui si articola la sfera della religiosità ovvero credenza, esperienza, appartenenza e pratica religiosa. Appare allora fondamentale partire da una diagnosi della “doxa religiosa” composta da quello in cui i giovani dichiarano di credere e dai riferimenti simbolici che essi pongono alla base della loro condotta di vita. Sappiamo poi che la religiosità non è solo una dichiarazione di adesione intellettuale a una credenza ma chiama in causa un serie di vissuti esperienziali collegati a un dialogo nella sfera interiore di ogni uomo con se stesso e una o più entità trascendenti che “nasce dal semplice percepire i grandi problemi della vita e dal viverli in rapporto a un senso che rinvia a una totalità, a un’alterità”.
La religiosità non si risolve, inoltre, in una sola attività introspettiva individuale ma possiede anche una dimensione relazionale e comunitaria che ricorda l’indissolubile legame dell’uomo con la realtà sociale che lo circonda4 e che la fa ogni volta scaturire dal particolare intreccio tra vissuto soggettivo “interiore” e spazio sociale “esteriore”. Infine, la religiosità si esprime in una serie di atteggiamenti e comportamenti socialmente visibili che chiamano in causa il complicato rapporto tra pensiero-azione e il livello di coerenza tra l’orientamento dichiarato e quello concretamente agito. Come ogni “fatto sociale” anche la religiosità risente dello zeitgeist (spirito del tempo) nel quale è immersa. A tal proposito sono molti gli studi che hanno preso a tema le specificità tardo-moderne della religiosità, sottolineando la necessità di avvicinarsi a questo tema con nuove categorie interpretative capaci di meglio inquadrarla e di coglierne le originali sfumature a volte in netta discontinuità con il passato. Si tratta di un’esigenza che è ancora più forte quando si concentra l’attenzione sulle giovani generazioni.
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